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Addio Coccoluto, DJ di fama mondiale con enorme spessore umano

Il DJ Claudio Coccoluto si è spento a 59 anni mentre si trovava nella sua casa di Cassino con la famiglia. Lo ricordiamo assieme a Lele Sacchi

Autore Tommaso Toma
  • Il2 Marzo 2021
Addio Coccoluto, DJ di fama mondiale con enorme spessore umano

Claudio Coccoluto (ph. M.D'Onofrio)

Da poche ore abbiamo saputo della scomparsa a soli 59 anni per un brutto e fulminante tumore del grande DJ italiano Claudio Coccoluto. Originario di Gaeta, iniziò proprio nella sua città natale a fare il disc jockey a 13 anni, per hobby, nel negozio di elettrodomestici del padre e finì per diventare il più “grande DJ italiano nel mondo”.

Una delle prime qualità che mi sovvengono ricordando Claudio era la sua generosità. Coccoluto è stato un superstar DJ. Come tutti sanno, il deejay è diventato la “rockstar” di questo secolo, ma come tutte le persone che hanno uno autentico spessore umano, non era caduto a precipizio nel vortice dell’edonismo sfrenato, una sindrome comune a tante stelle di questo settore musicale.


Coccoluto: il DJ come pioniere

Forse non solo per le sue indubbie qualità morali, ma anche perché Claudio è cresciuto ed esploso in un’epoca dove il DJ era ancora una figura pionieristica, di confine, non esattamente definibile.

Era la seconda metà degli anni ’80 quando iniziò a mixare dietro a una consolle, grazie al compianto Marco Trani, altro pioniere italico. Era l’epoca dove chi faceva quel mestiere in Italia era essenzialmente e genericamente “quello che metteva la musica per far ballare”. Un assioma che non farebbe una grinza, ma come ben sapete dietro a questo lavoro c’è tanto altro. E Claudio lo ha saputo dimostrare al Belpaese e non solo.


Le parole di Claudio

Le sue notti a Riccione, Londra, Ibiza, Milano e NYC, soprattutto a cavallo tra gli anni 90 e gli anni Zero, rimangono indimenticabili. Ma è soprattutto al Goa, il suo “quartier generale”, che diede davvero esempio di grande coerenza e integrità professionale, come lo stesso Claudio scriveva sulle nostre pagine (era l’aprile del 2019): «Un tempo, un paio di decenni fa, le pareti, i cubi, i flyer creavano il giusto spazio espressivo dove la ricerca di identità dei clubber si manifestava con disinvolta libertà di azione. Si creavano così numerose, piccole e multiformi carriere delle quali la professionalità oggi è riconosciuta. Oggi l’involuzione in nome del profitto ha interrotto, spero non irrimediabilmente, questo processo, dove club e affini erano palestre delle idee».

Come molti di voi sanno Claudio è stato rispettatissimo all’estero, soprattutto in UK. Se parlate con Carl Cox, Fatboy Slim, Paul Oakenfold e tutta la pletora di DJ’s degli anni ’90 che hanno operato tra le mura dei club più famosi del Regno Unito e di Ibiza, vi diranno all’unisono della grandezza, del talento e della generosità – sì, proprio questa caratteristica – di Claudio Coccoluto, che sorprendeva per la sua qualità nel saper mixare ritmi polimorfi dalla house, breakbeat samba, all’electro e la techno.

Il ricordo di Lele Sacchi

Questo non vuole essere il solito coccodrillo dove snocciolare come in un anonimo CV tutti i successi e gli obbiettivi raggiunti in vita da Claudio Coccoluto, bensì un pensiero a caldissimo su un collega, anche amico.

Per questo mi sono permesso di telefonare stamattina a Lele Sacchi, che è più giovane di Claudio, ma con il quale ha condiviso consolle, cene, chiacchiere, idee e progetti. Come il recente Club Festival Commission Italia, una sorta di aggregatore o associazione di categoria per le imprese e gli attori del mondo della notte: club, festival, promoter, DJ.


«Credo che quello che mi sta passando nella testa in questo momento è: “ma adesso cosa facciamo?”. La presenza costante di Claudio come leader naturale, il suo modo di portare avanti le idee come DJ, ma anche come possibile frangiflutti contro le derive commerciali non solo del mondo del clubbing, ci faceva pensare a me e a molti miei colleghi e non, come un autentico maestro e come mentore. Visto che a molti di noi ci ha preso come pulcini da crescere – nel mio caso quand’ero poco più che ventenne  quando iniziai a fare DJing».

«Claudio sapeva notare da subito chi poteva portare avanti l’idea del DJ come veicolatore di cultura e di contenuti. Si è sempre esposto per questo motivo, non solo per far brillare il suo nome. Avrebbe in questo frangente fatto altre scelte più sicure e redditizie – soprattutto nell’apice della sua popolarità – e meno coraggiose. E invece la sua coerenza, la sua devozione per le “giuste cause” lo hanno reso una guida, una luce per tutti noi e per fortuna quella luce che ha acceso sarà un faro ancora per molto tempo».

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