Interviste

La Rappresentante di Lista: «Basta stereotipi di genere»

Il 5 marzo, durante la settimana di Sanremo, l’eclettico duo pubblicherà il nuovo album My Mamma, contenente il brano in gara al Festival, Amare. Li abbiamo intervistati

Autore Federico Durante
  • Il21 Febbraio 2021
La Rappresentante di Lista: «Basta stereotipi di genere»

Foto di Manuela Di Pisa

Il loro nome non è nuovo alle orecchie del grande pubblico italiano: durante la scorsa edizione del Festival di Sanremo, Veronica e Dario sono saliti sul palco dell’Ariston nella serata dei duetti per un’intensa reinterpretazione di Luce di Elisa insieme a Rancore e Dardust. Com’è noto, adesso La Rappresentante di Lista tornerà su quel palcoscenico concorrendo in gara fra i Big con il brano Amare. Una partecipazione assai gradita: per il loro eclettismo, il piglio “alternativo” e lo spessore dei contenuti su temi come quelli delle identità di genere, il duo è fra gli artisti che contribuiscono maggiormente a rinnovare la proposta artistica del Festival.

Proprio durante quella settimana, per la precisione il 5 marzo, uscirà il loro nuovo album My Mamma. Un caleidoscopico mix fra un electropop internazionale alla St. Vincent e una sensibilità per le grandi produzioni pop italiane. È proprio al rientro da una giornata di prove all’Ariston che li intercettiamo via Zoom per parlare del nuovo lavoro in studio.


Il brano che portate in gara a Sanremo è Amare. L’amore è da sempre il tema per eccellenza del Festival, ma ovviamente è un concetto estremamente ampio e suscettibile di interpretazioni pressoché infinite: qual è quello che voi cantate nel brano?

Dario L’amore è un topos della canzone, da sempre. La nostra non è soltanto una canzone d’amore.


Veronica Infatti il titolo che abbiamo scelto è Amare e non Amore. Il verbo all’infinito è divertente perché può essere anche un imperativo, un monito. Ci piace perché crea nell’immaginazione un movimento, un moto del corpo e dell’anima, una necessità alla quale bisogna rispondere, scegliendo da che parte stare. In qualche modo è un obiettivo che ci si pone di fronte, qualcosa che richiede di essere attivi.

Il pezzo è stato prodotto dall’infaticabile Dardust. È una collaborazione nata dall’esperienza del duetto con lui e Rancore dell’anno scorso?

D Sì, ricordo perfettamente il momento in furgone prima di arrivare a Sanremo, quando ci siamo guardati e detti: “Ragazzi, poi con calma incontriamoci in quei posti meravigliosi che sono gli studi di registrazione”. Ed è stato così. Dardust ha fatto un lavoro incredibile sul brano. Noi abbiamo messo il nostro per quanto riguarda la parte musicale e di arrangiamento.

Sempre in tema di collaborazioni, Religiosamente è stata scritta insieme a Pacifico. Com’è nata questa sinergia?


V La chiamerei magia. Gino è una persona strepitosa. Ce l’ha presentato la nostra etichetta discografica (Numero Uno, ndr), che ha fortemente voluto questo incontro perché probabilmente pensava che fossimo anime affini. E così è stato. Ci siamo incontrati a Parigi, dove lui abita. Ci siamo messi in modo molto libero a ragionare insieme su quelli che all’epoca erano provini di canzoni. Sul senso delle parole, sulle tematiche che volevamo far venir fuori da questo disco.

D Le cose che sono nate nel pomeriggio, la sera le abbiamo registrate in studio. C’è una parte della canzone che è rimasta quella, non l’abbiamo reincisa successivamente. Abbiamo voluto tenere la fotografia di quel momento.

La copertina di My Mamma cita chiaramente un quadro molto famoso che non ha certamente bisogno di spiegazioni. Ma come mai avete scelto proprio questo riferimento all’idea di nascita, di origine, di genesi?

D È stata una proposta di un’artista con cui collaboriamo da anni, Manuela Di Pisa, che ha preparato per noi un moodboard dove aveva raccolto una serie di riferimenti estetici dopo aver ascoltato il disco. In realtà la prima copertina che avevamo scelto era un po’ più “strong”: un utero con una corona di spine e una fiamma tipo cuore di Gesù. Poi lei ci ha fatto quell’altra proposta e rispondeva perfettamente a ciò che volevamo raccontare. My Mamma è un disco che parla anche di ciò che vuol dire essere madri o padri, o entrambe le cose contemporaneamente, o sognare di esserlo.


V Dove essere madri e padri vuol dire anche di che cosa ti vuoi prendere cura, cosa vuoi lasciare al mondo. Sicuramente questa necessità di terra, di carne, di respiro universale che la nostra natura ci offre, anche quella anatomica.

Avete detto che Alieno è una canzone “che parla di femminilità, di come ci si senta fuori posto, a pezzi, avvilite, prese a botte, nauseate, liquidate malamente nel calderone degli appellativi facili”. Dal vostro punto di vista, quali sono oggi le priorità della battaglia per la gender equality?

D Sicuramente siamo in una fase di “laboratorio”. Stanno succedendo tante cose che porteranno delle rivoluzioni. Anche se poi arriva il governo Draghi e tutto crolla… Ma già che faccia notizia il fatto che ci sono poche donne è significativo.

V Penso anche al laboratorio che stiamo vivendo rispetto al linguaggio, per esempio l’uso dell’asterisco nei plurali. In Inghilterra in calce alle mail indicano i pronomi e gli aggettivi personali con cui uno si identifica: he/his, she/her. Questo tipo di attenzione, anche quella che all’inizio sembra eccessiva, sicuramente serve per far luce su questioni molto importanti, che faranno vivere le persone di domani con meno disagio di quello che quotidianamente subiscono.


Parallelamente, Fragile è una canzone che parla di mascolinità. Secondo voi quali sono i modelli culturali che abbiamo ereditato dalle precedenti generazioni che dobbiamo rigettare o modificare e quelli, invece, che possiamo salvare?

V Uno dei primi che avrei voglia di trasformare sono i limiti di genere. Oggi più che mai sento che è difficile riconoscersi nello stereotipo del maschio o della femmina. Sento che l’essere umano ha bisogno di indagare, scoprire, utilizzare il proprio corpo per fare esperienze della vita, sfruttare tutte le possibilità che ha per capirsi.

D Anche per relazionarsi. Quando penso a un modello maschile per eccellenza, penso a mio nonno, che nella sua rigidità avrà sicuramente dovuto rinunciare a qualcosa. L’idea dell’uomo elegante, del maschio tutto d’un pezzo, in qualche modo mi rassicura tuttora. Oggi fare il maschio è anche più complicato di allora, quando bastava arroccarsi su un ruolo. Noi maschi stiamo assistendo a una rivoluzione.

V Non basta più rispondere a quelle richieste che tipicamente la figura maschile riceveva: la protezione, la cura, il lavoro, l’aspetto “eroico”. La donna oggi può rispondere a queste richieste da sola, quindi l’uomo deve per forza reinventarsi, riscoprire dei lati di sé che ancora non conosce.


In una recente intervista avete detto che all’inizio vi ha uniti anche l’amore per l’opera lirica. Mi raccontate di più su questa vostra comune passione?

V Nell’infanzia e nella prima adolescenza io ho vissuto a Viareggio, che è molto vicina a Torre del Lago Puccini, dove c’è il Festival Puccini. Quindi sono cresciuta con questo respiro. I miei nonni erano grandi appassionati di opera lirica. Mia nonna riconosceva qualsiasi opera sin dalle prime note.

D Quando ci siamo conosciuti, lei ascoltava molto rock, mentre io ho una cultura musicale più improntata sul jazz e sul cantautorato italiano. L’opera è stata il nostro comune denominatore. Considera che mio padre si chiama Aido perché mio nonno era patito dell’Aida e si aspettava una femmina… Alle medie avevo un’insegnante che, invece di farci fare la recita di Pirandello, ci fece mettere in scena la Tosca e la Cavalleria Rusticana. In entrambi i casi ero il protagonista, il tenore. La prima volta che ho messo le mani su un pianoforte fu proprio nella casa di Puccini a Torre del Lago.

Voi siete già saliti sul palco dell’Ariston l’anno scorso con una bellissima versione di Luce di Elisa. Si direbbe che vi sia piaciuto subito… Allora avevate già in mente che sareste tornati da Big quest’anno?


V L’idea di andare su quel palcoscenico con una nostra canzone ce l’avevamo. Però da lì a fare davvero le prove insieme all’orchestra… di strada ne è passata.

D Noi ci siamo sempre detti che, scrivendo canzoni in italiano, il Festival di Sanremo è anche il nostro festival. C’è una grande volontà della direzione artistica di rinnovare il cast, e si è visto. E noi siamo felici di farne parte. Molte delle esperienze più belle di Sanremo 2020 riguardano il dietro le quinte: c’è un mondo di tecnici che si mettono davvero al servizio dell’artista, è una cosa che mi emoziona. Le sarte ci hanno regalato momenti incredibili… Questo è il bello: il teatro, il palco, la squadra. Speriamo poi che il Festival sia volano di un ritorno ai concerti.

La copertina di My Mamma de La Rappresentante di Lista

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