Interviste

Steve Vai, fuori “Inviolate”: «Al di là della tecnica, devi sempre mettere al centro la musica»

Il chitarrista shredder ha appena pubblicato il nuovo album in studio: nove tracce in cui non manca di sfidare i propri limiti anche ora che ha passato la soglia dei 60

Autore Federico Durante
  • Il30 Gennaio 2022
Steve Vai, fuori “Inviolate”: «Al di là della tecnica, devi sempre mettere al centro la musica»

Foto di Larry DiMarzio

Virtuoso, compositore, innovatore, pioniere. Quando si parla di un profilo artistico come quello di Steve Vai, è chiaro che la definizione di “chitarrista” appare limitata e fuorviante. Dagli esordi (appena ventenne) con Frank Zappa a Grammy e dischi d’oro come solista, Vai appartiene a quella schiera di visionari della chitarra – che parte da Hendrix e passa da Van Halen – capaci di spostare in là l’orizzonte delle possibilità espressive dello strumento, lasciando nuovi “standard” tecnici alle generazioni a venire.

È quello che continua a fare (divertendosi moltissimo) anche ora che ha passato la soglia dei 60, come dimostra il nuovo album Inviolate: fra pezzi suonati con una mano sola (Knappsack) oppure con tecniche mai viste prima (Candlepower), Steve prosegue col suo spirito “da ricercatore” sfidando sempre se stesso a uscire dalla propria comfort zone. A una condizione: mettere sempre al centro la musicalità dei brani.


Ecco un estratto dell’intervista che leggerete integralmente sul numero di febbraio di Billboard Italia.

Steve Vai - Inviolate - intervista - foto di Michael Mesker - Hydra
La chitarra “Hydra”, modello custom realizzato appositamente per Steve Vai da Ibanez (foto di Michael Mesker)
Sulla copertina dell’album celebri orgogliosamente la chitarra Hydra. Dimmi tutto su questo folle strumento.

Sono sempre stato attratto dalle chitarre a più manici ma non me l’ero mai sentita di usarle davvero in modo organico. Volevo progettarne una con cui scrivere un brano musicale che integrasse tutti i manici. Volevo che ne avesse uno con dodici corde e per metà fretless, uno da sette corde e un basso, più tredici corde di arpa. All’epoca mi piaceva anche molto l’estetica steampunk.


Ho mandato questi spunti alla Ibanez e ci sono voluti quattro anni complessivamente. Comprende una parte di sintetizzatore e di sampler, ha pickup piezo e sustainer… è uno strumento molto tecnologico.

Sapevo che il pezzo (Teeth of the Hydra, ndr) avrebbe dovuto avere una serie di caratteristiche: volevo che fosse un brano godibile di per sé, anche senza sapere come è stato eseguito; e che fosse “heavy” e suonato solo con la Hydra, senza altri strumenti eccetto tastiera e batteria.

Sono rimasto impressionato dalla genesi di Knappsack: possiamo dire che le limitazioni che avevi ti hanno spinto a esplorare qualcosa di nuovo?

Sì, mi hanno dato un’opportunità. Dopo l’intervento alla spalla portavo questa fascia chiamata appunto Knappsack. Ero appena uscito dall’ospedale quando mi è arrivata la nuova Ibanez PIA nera. Nel momento in cui ci ho messo le mani sopra ho pensato: “Ok, so cosa sto per fare…”. E così mi è venuto il pezzo. Anche in questo caso ho fissato dei parametri: al di là della tecnica con una mano sola, doveva suonare come un brano godibile già di suo. Perché al di là di tutto devi sempre avere della buona musica.

Un altro pezzo inusuale è Candlepower, con quella tecnica di bending che non avevo mai visto prima. Quando sviluppi un approccio nuovo qual è la tua curva di apprendimento? Perché non credo che venga spontaneo alle mani di nessuno…

Niente viene spontaneo alle mani di nessuno, l’importante è che ti venga spontaneo come idea. Nel caso di Candlepower, volevo che il pezzo avesse un suono di chitarra pulito, fingerstyle, niente whammy bar… tutte cose strane per me! Ma non era abbastanza: chiunque può suonare in quel modo.


La tecnica del “joint shifting” in sostanza consiste nel fare due o tre bending in direzioni diverse mentre vengono lasciate risuonare altre note. Io ho solamente grattato la superficie di questa tecnica: posso immaginarmi un intero pezzo suonato così. Spero che qualche giovane chitarrista possa portarla a quel livello!

Fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, album strumentali di chitarra come il tuo Passion and Warfare o Surfing with the Alien di Joe Satriani erano enormemente popolari. Secondo te quali fattori determinarono quel periodo d’oro?

Era solo buona musica! I chitarristi oggi potrebbero pensare di non avere speranze perché quel tipo di musica non è più popolare. Ma si tratta di una contraddizione in termini. Il motivo per cui era popolare allora era che quegli artisti proponevano buona musica.

Dopo Blow by Blow di Jeff Beck (1975, ndr), la gente pensò che la musica strumentale fosse morta, ma poi arrivarono Yngwie Malmsteen e Joe Satriani. Quando uscì Surfing with the Alien si pensò che fosse un buon periodo per la musica strumentale: no, Joe lo rese tale grazie alla sua musica.

Il mio messaggio ai giovani chitarristi che si sentono esclusi è: fate ciò che volete voi, siete voi che la renderete di nuovo popolare. È quello che abbiamo fatto io, Satriani, Beck ai nostri tempi.


Steve Vai - Inviolate - intervista - foto di Larry DiMarzio - 3
Steve Vai con la nuova Ibanez PIA, evoluzione della storica JEM (foto di Larry DiMarzio)

Ascolta Inviolate di Steve Vai in streaming

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