Rock

Red Hot Chili Peppers, avevamo davvero bisogno di “Return of the Dream Canteen”?

Esce domani il loro secondo lungo album del 2022. Notevole lo sforzo creativo e produttivo dato dal ritorno di Frusciante, ma inevitabilmente il livello dei 34 inediti pubblicati quest’anno non è sempre memorabile

Autore Federico Durante
  • Il13 Ottobre 2022
Red Hot Chili Peppers, avevamo davvero bisogno di “Return of the Dream Canteen”?

Red Hot Chili Peppers (foto di Clara Balzary)

La notizia era stata data già all’indomani della pubblicazione di Unlimited Love, il primo album dei Red Hot Chili Peppers con il “figliol prodigo” John Frusciante dai tempi di Stadium Arcadium del 2006: quest’anno avrebbe visto l’uscita non di uno ma ben due album della band losangelina. Il sequel Return of the Dream Canteen – che abbiamo ascoltato in anteprima – vedrà la luce domani, venerdì 14 ottobre.

Sono in tutto e per tutto due album fratelli, registrati nel corso delle stesse sessioni sotto la guida – ça va sans dire – dello stesso produttore, il grande Rick Rubin. E si sente: non ci sono sostanziali differenze di sound fra un disco e l’altro.


Prima di tutto occorre constatare la monumentalità di questo “trek” creativo e produttivo dei Red Hot, che evidentemente hanno trovato tanta nuova linfa dal ritorno nei ranghi di John, ingrediente insostituibile del loro songwriting. Trattasi infatti di 34 inediti in totale per due ore e mezza di ascolto complessivo. Come se avessero pubblicato due Blood Sugar Sex Magik nello stesso anno. Peccato però che il livello di questa enorme mole di materiale non sia sempre memorabile come l’album del 1991.

A proposito della prolificità, il batterista Chad Smith ha spiegato: «Abbiamo scritto senza limiti di tempo e abbiamo finito per registrare tutte queste canzoni. Registriamo sempre più di quello che esce su un album, ma spesso vengono lasciati negli archivi o incompiuti. Ma li abbiamo finiti tutti. Ci siamo sentiti come se avessimo troppe buone canzoni per non pubblicare un altro disco. Non è come un disco di B-side o qualcosa del genere».


E coralmente hanno dichiarato: «Il fatto che noi quattro vagassimo in un tempo e in un luogo meno definiti del solito ha portato a più musica. La tenace scrupolosità di John nel trattare ogni brano ci ha aiutato a realizzare più materiale di quanto ne potessimo utilizzare. In un mondo in cui la pubblicazione di un singolo brano è lo standard, noi abbiamo deciso di pubblicare un doppio album».

I ragionamenti mostrano già qualche falla. Non è peccato mortale operare una selezione sul materiale composto, al fine di scremare il meglio. Tutti sanno che, per qualunque album, a fronte di una tracklist di una dozzina di pezzi ce ne sono decine che sono stati scartati. “Lasciati negli archivi o incompiuti”, come dice lo stesso Smith. È normale, la discografia funziona così dagli albori del formato album. E fra Unlimited Love e Return of the Dream Canteen i buoni brani non mancano, dunque perché proporre il pacchetto completo anziché un’unica tracklist di pezzi forti?

Foto di Clara Balzary

Ipotizziamo una scaletta come la seguente (non necessariamente in quest’ordine): Black Summer, Here Ever After, Aquatic Mouth Dance, Not the One, Poster Child, It’s Only Natural, She’s a Lover, One Way Traffic, Tangelo, Tippa My Tongue, Peace and Love, Eddie, La La La La La La La La. Se queste fossero state le canzoni di “Return of the Unlimited Love” (immaginando una fusione dei due progetti), certamente avremmo potuto parlare di un ottimo nuovo lavoro dei Red Hot Chili Peppers.

Si tratta di tredici brani. Gli altri ventuno – spiace dirlo – sono riempitivi o bozze che avrebbero meritato ulteriore rifinitura. Dunque qualcosa di molto simile a quei “B-side” che Chad Smith giura di non aver messo in tracklist.


Certo, Tippa My Tongue è un buon lead single (anche se a tratti suona “fresh” in modo un po’ forzato). Peace and Love poi è un bel funky lento con un ritornello delicato e gradevole. Eddie, dedicata al compianto Van Halen, è forse l’episodio migliore del lotto, con un’intensità lirica e strumentale che non ha confronti nel resto dell’album. E si fa apprezzare l’eterea La La La La La La La La, con i suoi inserti di piano e sassofono.

Per il resto, sono tanti i passi falsi. Per esempio My Cigarette: brano dominato dall’inspiegabile suono di una drum machine lo-fi che ha ben poco a che fare con il sound dei Red Hot Chili Peppers. Infelice poi la scelta di piazzare due brani in ¾ uno di fila all’altro (Copperbelly e Carry Me Home), peraltro in fondo alla tracklist.

Si riconferma – va detto – la notevole freschezza della scrittura di Kiedis, anche se forse in tono minore rispetto ad Unlimited Love. Difficile mantenere una tale immediatezza d’approccio in una simile mole di inediti. Ma nel complesso si fa fatica ad ascoltare Return of the Dream Canteen dall’inizio alla fine. Pochi pezzi forti, come dicevamo, ma anche scelte di produzione – con quel sound scarno, sottoprodotto, da presa diretta – che alla lunga stancano.

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