Interviste

Il post-punk non muore mai. Adesso è l’ora dei PVA, con un tocco dance in più

È uscito l’ottimo album di debutto di questo terzetto inglese che shakera in maniera irresistibile punk funk, acid house e indie disco. Ne abbiamo parlato con loro

Autore Tommaso Toma
  • Il15 Ottobre 2022
Il post-punk non muore mai. Adesso è l’ora dei PVA, con un tocco dance in più

PVA (foto di Sebastian Kapfhammer)

Continua l’onda creativa del post punk nella scena inglese. Anzi geolocalizzandola notiamo una concentrazione di band derivative nella zona sud di Londra. E lasciando da parte il lato più muscolare del fenomeno (Idles, Shame, Squid) e anche più anarcoide (Black Country, New Road, Goat Girl), i PVA, terzetto composto da Josh Baxter (synth, voce e chitarre), Louis Satchell (batteria) e alla voce, chitarra e l’immancabile synth da Ella Harris, segue il lato più disco del fenomeno, avvicinandosi idealmente più a gente come Gabe Gurnsey e Working Men’s Club.

Il loro album di debutto Plush è la summa di un breve ma acceleratissimo percorso musicale iniziato solo di recente con il mini-album Toner del 2020, prodotto da Dan Carey e ovviamente seguendo le rigide e provocatorie rules and regolation dettate dallo stesso Carey come: registrare tutto entro un giorno, senza alcuna pausa pranzo/cena, oppure ogni brano sarà registrato dal vivo, al buio con fumo e laser in sala e in ogni disco farà la sua apparizione lo Swarmatron (un synth analogico).


L’album

I PVA fanno curiosamente uscire il loro album per la Ninja Tune. Chi è molto attento alle sue uscite sa benissimo che oltre a proporre artisti assolutamente in linea con la propria storia di elettronica dalle derive abstract hip hop, nu jazz come Floating Points, Bonobo (oramai storica la sua presenza), Actress, la label ha pubblicato nomi nuovi con contorni stilistici molto differenti. Abbiamo già parlato in precedenza degli ODESZA, per non parlare del collettivo post punk Black Country, New Road, il più affine proprio ai PVA.

Il loro album è ricco di ritmi di dimensioni addirittura industrial che colpiscono forte e fanno richiamare l’antica scuola post punk di Sheffield. Aleggia nelle tracce comunque uno spirito post punk che fa da contrasto con i testi poetici di Harris. Un po’ dovunque si intravedono ispirazioni diverse: la disco più acid, il punk funk dei Gang of Four e addirittura in alcuni frangenti l’intimità del sound di Bristol anni ’90.


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PVA (foto di Sebastian Kapfhammer)

L’intervista ai PVA

Com’è stato come “tornare alla normalità” per voi che siete dei ventenni? Devo farvi i complimenti, ci sono almeno quattro canzoni riuscitissime e non è neanche facile trovare di questi tempi un disco con quattro canzoni ottime!

Un ritorno alla normalità è molto apprezzato! Il tempo libero “forzato” è stato sorprendentemente difficile da gestire. Ci sentiamo molto più concentrati e ispirati dopo aver riacquistato il contatto sociale. Non potremmo essere più felici del nostro debutto. Direi che ci sono almeno dieci brani meravigliosi!

Io ho una certa ossessione per Bunker. Adoro questa commistione tra indie rock e acid house.

Ti confidiamo che suoniamo Bunker da quando abbiamo iniziato a suonare insieme! La canzone ha preso forma dopo che organizzammo una serata in un piccolo club in un seminterrato nel sud di Londra. Dopo lo spettacolo volevamo fare una canzone che riflettesse quello spazio e quella sensazione. Da allora è stato sviluppato e trasformato nella traccia che è oggi.

Ci parlate anche di Kim? Sento molto i Gang of Four nel sound.

Kim esplora il concetto di idolatria e di attrazione sessuale. Abbiamo appena finito di girare il video in Corsica con l’aiuto del regista Sal Redpath (già autore di video per i Sorry, ndr). Ah, stavamo per avere un incidente fatale mentre suonavamo!

Avete registrato un singolo per la Speedy Wunderground, seguendo le folli regole imposte dal produttore Dan Carey. Com’è stato lavorare con lui? Ne avete trovato beneficio?

Sì, Dan ci ha aiutato a catturare sul disco il nostro suono dal vivo, era quello che volevamo più di ogni altra cosa durante la registrazione. Abbiamo lavorato in un contesto creativo, dove si respirava tanta voglia di scoprire e di trarre vantaggio dalle intuizioni. Per l’album avevamo alla produzione Jamie Neville (ha lavorato con Kae Tempest, ndr) e Ben Romans-Hapcroft (già produttori di Wu-Lu e dei pazzoidi The Fat White Family, ndr), hanno condiviso spesso il banco mixer con Dan e ci siamo dati da fare a seguire anche le sue regole mentre lavoravamo tutti assieme.


Avete condiviso lo stage del Wide Awake festival con il mitico Bobby Gillespie dei Primal Scream. Com’è stato conoscerlo? E cosa vi ha sorpreso chiacchierando con lui?

Bobby è davvero cool! Avevamo l’impressione di avere accanto qualcuno che emana una certa saggezza. Ci ha sorpreso è stato quando ha detto che molta musica di oggi è molto più sofisticata di quando era giovane. Le persone stanno sperimentando molto di più le strutture delle canzoni che in passato. Un dettaglio che veramente non avevamo focalizzato.

Vi sottoponiamo le nostre classiche domande che facciamo nel magazine nella nostra rubrica Q&A (saranno presenti nel prossimo numero, ndr). Che cosa ascoltate in generale?

Tutti: Tapir! per rilassarci, Gilla Band per fare un po’ di casino e Jockstrap quando siamo in fase creativa.

Il primo disco che avete amato alla follia?

Josh Baxter: Ziggy Stardust and the Spiders from Mars. La prima volta che l’ho scaricato l’ascoltai cinque volte di fila.

L’artista più sottovalutato?

Ella Harris: I Crack Cloud.


Tre band o artisti che avreste voluto vedere ma non siete mai riusciti a farlo?

JB: SOPHIE, un’autentica eroina. Sono rimasto sconvolto quando ho appreso della sua tragica morte. Un’icona.

Louis Satchell: Daft Punk. Se solo fossero venuti a Glastonbury prima di sciogliersi…

Vinile, CD, streaming, download: come ascolti la musica?

JB: Streaming.

LS: Possibilmente in vinile.


La città dove hai visto i locali più belli? Nominane un paio.

JB: Per quanto riguarda Londra direi Corsica Studios e per Manchester il WHP. Mentre ad Amsterdam lo Shelter.

La colonna sonora più bella di sempre?

Tutti: Il mio vicino Totoro di Joe Hisaishi (film dell’immenso Hayao Miyazaki, ndr).

La canzone perfetta da ascoltare il giorno del proprio compleanno?

LS: Louie Louie, Toots & The Maytals.

Per fare l’amore?

LS: Kill Some, HAWA.


E per sfogare la rabbia?

Tutti: La nostra Untethered.

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