Rock

Il ritorno del rock: morte e rinascita di un genere dato per spacciato

Dopo la scomparsa delle chitarre dalle classifiche e dalla cultura giovanile, negli ultimi anni è tornato di peso nelle produzioni musicali a tutti i livelli. Soprattutto per merito di giovani artiste donne e con un necessario cambio di pelle che lo ha reso di nuovo (finalmente) un fenomeno generazionale

Autore Federico Durante
  • Il25 Ottobre 2021
Il ritorno del rock: morte e rinascita di un genere dato per spacciato

Olivia Rodrigo (fonte: ufficio stampa)

“Rock and roll will never die”, cantava tanto tempo fa Neil Young con un verso diventato manifesto stesso di una musica, uno stile di vita, un modo di sentire. Ma a fare proclami di immortalità si rischia di rimanere delusi molto presto. O magari no? Il rock è davvero morto negli anni ’10, come si pensava fino a poco tempo fa?

A ben guardare, da un paio d’anni le chitarre elettriche e una certa attitude rock and roll sono tornate in grande stile nelle produzioni a tutti i livelli, dall’indie al mainstream. Il pubblico rock tradizionale se n’è accorto? Chi sono gli artisti che l’hanno riportato in auge? E ha senso continuare a parlarne in termini differenziali rispetto agli altri generi? In questa serie di articoli esploriamo i risvolti del tema del ritorno del rock nella cultura giovanile per merito di insospettabili nuovi portabandiera.


All’incirca un anno fa fece notizia una dichiarazione rilasciata da Andy Mooney, CEO della Fender, celeberrima marca di chitarre. L’annuncio aveva del sensazionale: il 2020, proprio l’anno del Covid, avrebbe visto le vendite più consistenti dell’intera storia del marchio fondato da Leo Fender. La circostanza scaldò i cuori di tanti rockettari giovani e attempati: un modello come la Stratocaster è un’indiscussa icona della musica rock. E, d’altra parte, una simile notizia riguardante il più noto produttore dello strumento principe di quel macro-genere – la chitarra elettrica – lasciava intravedere una luce di speranza per il suo futuro presso le nuove generazioni.

Le parole di Mooney avevano certamente una loro notiziabilità. Ma la realtà – come sempre – è più complessa se la si guarda sotto la lente d’ingrandimento, e magari i punti di reale interesse stanno altrove. Ovvero: il 2020 è stato sì un anno di vendite storiche per la Fender (con riscontri analoghi presso gli altri grandi marchi, da Gibson a Martin), ma in verità l’industria degli strumenti a corde non ha mai smesso di crescere già dall’indomani della crisi del 2008. Non proprio un fulmine a ciel sereno, dunque.


Il dato più interessante di questo scenario lo fornisce sempre Fender. È vero che in tempi di lockdown molti hanno imbracciato la sei corde per imparare un nuovo hobby o per passare il tempo. Ma chi sono questi nuovi musicisti? Ebbene, la app Fender Play (che fornisce ai principianti i concetti teorici e pratici di base dello strumento) ha registrato un balzo dal 30 al 45% di utenti di sesso femminile fra pre e post-pandemia. È un dato certamente parziale e studi più approfonditi andrebbero condotti per avere una visione d’insieme. Ma è assai significativo nel riflettere un fenomeno di cui si aveva il sentore: la “community” degli aspiranti chitarristi probabilmente non ha mai visto così tante donne (per uno strumento spesso tacitamente considerato “maschile”).

Da un’infinità di voci nel corso degli anni ’10 il rock è stato dichiarato “morto”. Le ragioni erano sotto gli occhi di tutti. Gli ultimi nuovi gruppi realmente influenti risalivano al decennio precedente, fra il calderone “alternativo” (White Stripes, Arctic Monkeys, Black Rebel Motorcycle Club) e le grandi ondate pop punk prima ed emo rock poi. Nella cultura giovanile non era rimasta traccia di forti fenomeni identitari legati al rock, e piano piano le chitarre elettriche scomparvero dalle produzioni musicali mainstream. Di linguaggi rock davvero innovativi, neanche l’ombra.

Molti puristi del rock storceranno il naso, eppure pezzi come Happier Than Ever di Billie Eilish e Brutal di Olivia Rodrigo sono indubitabilmente classificabili come tali

L’avvento di EDM e trap (qui intesa come attitudine e modalità di produzione, prima ancora che genere) relegò la cultura rock a un – pur glorioso – pezzo da museo. Ma poi qualcosa è cambiato, complice anche la pandemia stessa. L’impossibilità di realizzare eventi di massa ha in parte svuotato di senso un genere come l’EDM che si è sviluppato in quei contesti. E la stessa trap sembra aver perso quella formidabile spinta che aveva pochi anni fa, in Italia come all’estero. A parte pochi grossi nomi, ultimamente abbiamo visto gli artisti di quel mondo “migrare” verso altri generi: pop, reggaeton, rap canonicamente inteso, persino il rock.

Già, perché sempre più ex-trapper si sono fatti fautori di un inaspettato revival del pop punk. C’è chi ci è arrivato prima degli altri. Un esempio su tutti, Machine Gun Kelly. L’artista texano, sotto l’ala protettiva di un vero guru del genere come Travis Barker dei Blink-182, si è completamente reinventato (con successo) come punk rocker sui generis. Anche le radio rock italiane lo incensano, e non è che la punta dell’iceberg di un vasto trend internazionale. MGK ha fatto scuola e in tanti seguono le sue orme: in Italia lo vediamo nel percorso identico (persino nel look e nella color palette) fatto da un artista come GionnyScandal.


Ma cosa succede ai piani alti del nuovo pop mainstream? Fermiamo per ora l’attenzione su due artiste giovani e di ampio successo globale, entrambe le quali hanno pubblicato musica immensamente popolare (e generazionale) nel corso del 2021: Billie Eilish e Olivia Rodrigo. Billie ha pubblicato il suo secondo album, Olivia il primo, ma le due cantanti hanno più di un punto in comune. A partire dal più insospettabile: tutte e due hanno conquistato la vetta di una classifica marcatamente di genere come la Hot Rock & Alternative Songs di Billboard.

La circostanza avrà fatto storcere il naso di molti puristi del rock. Eppure pezzi come Happier Than Ever di Billie Eilish e Brutal di Olivia Rodrigo sono indubitabilmente classificabili come tali. In questi casi non si tratta di un semplice fenomeno revival o citazionistico. Si sente che quelle sonorità scaturiscono da una specifica urgenza espressiva, da un bisogno di comunicare efficacemente con i propri simili.

Allarghiamo allora lo sguardo. Un’altra artista dal vasto seguito internazionale, Halsey, con il recente If I Can’t Have Love, I Want Power ha pubblicato un disco eminentemente rock. A scanso di equivoci, ha chiamato alla produzione due numi tutelari come Trent Reznor e Atticus Ross dei Nine Inch Nails. E che dire invece di un album come Solar Power di Lorde? Un disco certamente delicato ma dominato dall’inizio alla fine da un suono di chitarra simil-Telecaster e da un songwriting quasi beatlesiano. Oppure Willow (figlia di Will Smith), che dopo esordi improntati sull’R&B ha svelato un animo rock senza filtri con l’album Lately I Feel Everything (e anche qui ritroviamo lo zampino di Travis Barker).

«Oggi più ragazze che mai si mettono a suonare la chitarra e danno vita a band. Le nuove popstar fanno sentire di nuovo le chitarre ai teenager», osservava per l’appunto Simon Neil dei Biffy Clyro nel corso dell’intervista che potete leggere sul prossimo numero di Billboard Italia, di cui abbiamo pubblicato un estratto. «Del resto, tutte le generazioni reagiscono a ciò che è venuto prima di loro. Negli ultimi dieci anni c’è stato poco rock perché il pop si rifaceva a un background hip hop e R&B. Mentre adesso ha ripreso il rock degli anni ‘90».


Le formule ripescate dagli anni ’90 “alternativi” infatti la fanno da padrone. Nirvana, Radiohead, Smashing Pumpkins, Blink-182 sono oggi riferimenti fondamentali per un’intera generazione di artisti sotto i 30 anni di età. Soprattutto donne, come si è visto. Non per niente i Nineties furono anche un decennio di grandi donne del rock, da Skin degli Skunk Anansie a Shirley Manson dei Garbage.

Ciò che accomuna i rocker di oggi è anche ciò che li rende simili alle popstar. Nessuno di loro si sognerebbe di rivendicare una “territorialità” rock and roll come supremazia su altre musiche “inferiori”

Dopo essere uscito dalla finestra, il rock è rientrato dalla porta principale (le fasce alte delle classifiche internazionali) senza che buona parte del suo pubblico se ne accorgesse. Semplicemente, “rock” sta diventando sempre più una modalità di arrangiamento, una scelta espressiva: un po’ come quando un artista fa il pezzo jazzato oppure in stile reggae perché ciò si addice all’economia della canzone, senza per questo essere un jazzista o un rastafariano.

Sotto al livello delle grandi popstar ci sono poi tanti artisti e band integralmente rock, soprattutto provenienti dal Regno Unito (paese tradizionalmente attento alle nuove proposte alternative), anche molto diversi fra loro: Yungblud, Sam Fender, gli Idles sono solo alcuni dei protagonisti delle classifiche UK. Ma il fenomeno è globale: in America ci sono i veneratissimi Greta Van Fleet e in Italia – ça va sans dire – i Måneskin.

Ciò che li accomuna è anche ciò che li rende simili alle popstar di cui sopra. Nessuno di loro si sognerebbe di rivendicare una “territorialità” rock and roll come supremazia su altre musiche “inferiori”. Tutti si inseriscono perfettamente all’interno di un contesto di fluidità dei generi che è la più forte caratteristica di questa stagione della pop music. Gli Idles, per esempio, non hanno problemi a dire di ispirarsi a certe scelte sonore di Kanye West (per l’ultimo album Ultra Mono hanno voluto una “produzione hip hop”). Mentre le ispirazioni ad ampio spettro musicale dei Måneskin sono cosa ben nota.


Tutti, soprattutto, hanno reso il rock una musica nuovamente generazionale, capace di raccontare tanto le storture della contemporaneità quanto le pieghe oscure dell’animo umano con un approccio fresco ed efficace. Il rock è tornato, sì, e forse questa volta è davvero qui per restare.

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