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Zara Larsson: «Una donna deve poter parlare di ciò che le piace»

Quattro chiacchiere con la cantante svedese Zara Larsson tra il nuovo album Poster Girl, i viaggi in era Covid e la condizione femminile

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il5 Marzo 2021
Zara Larsson: «Una donna deve poter parlare di ciò che le piace»

Zara Larsson / fonte: ufficio stampa

Per chi non conoscesse ancora Zara Larsson, è la bambina prodigio di Swedish’s Got Talent, poi divenuta musa di David Guetta ai tempi degli Europei di Calcio 2016 e giovanissima disco diva con un pezzo d’impatto come Symphony, mandato in orbita dalla scintillante produzione dei Clean Bandit. Il suo precedente album So Good ha consolidato la popolarità della cantante nella nativa Svezia e in Nord Europa, regalandole buoni successi in UK (dove molto ha giocato anche la collaborazione con Ed Sheeran) e Australia. Questa volta la ritroviamo in occasione dell’uscita della sua ultima fatica discografica Poster Girl.

L’avevamo incontrata all’epoca della pubblicazione del singolo Ruin My Life. Era la Fashion Week del 2018, con lei splendida protagonista di uno shooting fotografico apparso sul Billboard di novembre di quell’anno. Sembra davvero un’altra vita a parlarne oggi, ma Zara ha la stessa freschezza e lo stesso entusiasmo di allora, insieme a una vena pugnace in materia di diritti delle donne e alla professionalità e consapevolezza che scaturiscono da una carriera già importante, a dispetto della giovane età. Il nuovissimo album la conferma starlette dalle ambizioni planetarie.


Si tratta di un album dalla trama coesa, ma anche di una vivace playlist di potenziali hit. Gioiose pennellate British disco flirtano con un modo tutto nordico di dire R&B, Zara ci mette stupore, sensibilità e versatilità espressiva, divertimento e attitudini glamour, ed è come se Kylie incontrasse Rihanna sul palco di un Eurofestival post era COVID, coreografia fantascientifica e ballerini fighi compresi. L’abbiamo incontrata per parlarne ed è stato come fare un pieno di energia.

Sei giovanissima, ma canti già da molto tempo. Nel nuovo disco la tua voce sembra aver fatto nuovi passi avanti in termini di espressività, pur mantenendo intatta la freschezza dei primi singoli. Che esperienza è stata cantare i pezzi dell’album?


Sì in effetti ho trascorso cantando tutta mia la vita fino ad ora. Potrei dire che sia come un circuito di vibrazioni: cantando corpo ed anima si esprimono e l’energia del canto ritorna ad alimentarli, inducendoli ad esprimersi ancora. Crescere per me è stato anche cantare forte e in alto: mi faceva stare bene. Col tempo ho imparato a controllare le dinamiche, in modo da comunicare tutte le emozioni, modulando i toni: si tratta di una mia necessità interiore non di tecnica.

Possiamo dire che parte di questa urgenza espressiva sia legata ai testi dell’album che tracciano la figura di una giovane donna molto consapevole di sé?

Certamente! Sono molto contenta dei testi di questo disco, perché anche se trattano temi personali, lo fanno in modo trasversale, mettendo in campo aspetti più universali. Ti faccio l’esempio di What Happens Here. È una canzone d’amore, ma anche un modo indiretto di promuovere l’identità femminile.

In che senso?


Nel senso che racconto me stessa e contemporaneamente parlo anche di sesso, senza remore. Non mi curo del giudizio degli altri, quando si tratta di esprimermi come donna.

Nel 2021 dovrebbe essere qualcosa di ovvio e invece, purtroppo, non lo è affatto. In cosa ti sembra che la donna subisca ancora pressioni da questo punto di vista?

L’assurdo è che ancora oggi sentire una donna parlare di sesso può suscitare scalpore. Il punto è proprio questo. Non è l’argomento in sé a scandalizzare la gente, come magari succedeva tempo fa, ma proprio il fatto che una ragazza possa provare piacere a parlare esplicitamente di sesso, senza avere paura di essere giudicata male. Invece parlare di sesso è un piacere in sé e non vedo perché la donna dovrebbe rinunciarvi. È questa l’intenzione più profonda del pezzo che ti ho citato e riguarda la libertà di una donna nel dichiarare in modo esplicito cosa le dà piacere.

Questa libertà riguarda anche l’aspetto squisitamente musicale?


Sì, e per due ragioni fondamentali. La prima è che, anche quando l’insieme di musica e testi tocca dei passaggi più profondi, o più cupi, quello che cerco di comunicare è comunque gioia. Si può stare bene in egual modo cantando di tristezza o di felicità, di cose banali o importanti. Se ti diverti nel farlo e sei te stessa, il risultato finale suonerà comunque leggero. Sono una giovane donna che parla ad altre ragazze e a tutto il resto del mondo delle cose che conosce e che vive.

Mi sembra un bellissimo approccio. La seconda ragione?

Sta nel fatto che nel tempo ho imparato a occuparmi personalmente di tutto ciò che riguarda il mio progetto artistico, cosa che ancora oggi non è affatto scontata per una giovane donna. Negli anni ho avuto la fortuna di collaborare con professionisti fantastici, dai quali ho imparato e imparo ancora molto, ma scrivendo questo disco ho sentito che era arrivato il momento di usare queste competenze anche per darmi la possibilità di dare alle mie idee la forma desiderata.

Hai Incontrato resistenze?


Ci sarà sempre qualcuno che entra nella stanza e ti dice sono io il coreografo, il truccatore, il regista, il produttore, io quello che conosce le telecamere”. Bene, quello è il momento di rispondere: “Ok, mi piacerebbe che il risultato venisse fuori esattamente in questo modo, ce la facciamo?”.

Dici che il disco è incentrato tutto sulle tue esperienze. Ora, quello che viene fuori da un ascolto complessivo è un mood cosmopolita, in cui si incrociano tante anime diverse. Come è stato ricreare questa molteplicità in un momento in cui viaggiare è praticamente impossibile?

Grazie, è una domanda molto bella. Negli anni ho viaggiato moltissimo per lavoro e quello che ho imparato è che una cosa che funziona alla grande in America magari non è altrettanto adatta per l’Europa e viceversa. Non credo che un musicista debba andare dietro al gusto del pubblico, ma lasciarsene ispirare. Nel realizzare l’album ho immaginato questi pezzi in situazione, durante un live, quindi insieme alla gente. Il viaggio è stato tanto quello di raggiungere idealmente le persone, quanto quello di portarle con me.

A dare unità al disco è anche la produzione, che mi sembra comunque molto coerente. Qual è secondo te il vero collante a livello di gusto negli arrangiamenti?


Credo sia il fatto che il mio approccio con la musica è molto svedese. C’è qualcosa di malinconico, qualcosa di profondo, qualcosa di bubblegum, qualcosa di dance e di funky e credo che questa commistione di aspetti sia molto legata al modo che abbiamo noi svedesi di vivere la musica.

Passiamo dall’immaginazione al progetto. Come sarà lo show basato su questi pezzi, visto che sono nati proprio pensando ad una performance?

Come una festa di suoni e di corpi, piena di luci, di divertimento, di glitter e di immagini.

Let’s hit the dance floor, Zara!


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