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Vasco Brondi: «Scrivere canzoni non è un modo per farsi belli davanti agli altri»

Ha spento le Luci della Centrale Elettrica e si è circondato di tanti collaboratori che gli hanno dato forza. Vasco Brondi è tornato

Autore Alberto Campo
  • Il5 Maggio 2021
Vasco Brondi: «Scrivere canzoni non è un modo per farsi belli davanti agli altri»

Vasco Brondi, foto di Max Cardelli

Nell’ottobre del 2018 Vasco Brondi ha spento Le Luci della Centrale Elettrica. Il progetto con il quale si era affermato nei tardi anni Zero, conquistando la targa Tenco da esordiente per Canzoni da spiaggia deturpata, cui sono seguiti tre altri album e una collezione antologica.

L’estate scorsa ha tenuto una decina di concerti documentata in Talismani per tempi incerti: primo lavoro discografico firmato con nome e cognome. Venerdì arriva il secondo: una raccolta di nuove composizioni intitolata Paesaggio dopo la battaglia. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della pubblicazione. Potrete leggere l’intervista completa a Vasco Brondi sul prossimo numero di Billboard Italia di maggio.


Quando e come è stato concepito l’album?

Ho cominciato a pensarci tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019: ogni volta che chiudo un ciclo mi metto a prendere appunti per quello successivo. Le prime idee sono venute fuori però a fine 2019 e ne avevo anche sul disco, ma non si conciliavano con le canzoni. Il confronto fra la dimensione razionale del progetto e quella della creazione continua a rimanere un mistero per me. Avevo chiesto a vari amici di mandarmi musiche, per uscire dalla modalità solita e affrancarmi dai miei difetti stilistici, ma non sono riuscito a scriverci sopra una sola parola. Così, dopo qualche mese di decantazione, ho preso la chitarra in mano e mi sono messo a suonare come quando avevo 15 anni.


Vasco Brondi: «Voglio permettere alla sensibilità altrui di modificare ciò che ho concepito in solitudine»

Da quello e un paio di tracce speditemi da Federico Dragogna, con cui ho una risonanza particolare, sono venute fuori una quindicina di canzoni, molto diverse l’una dall’altra. Insieme a Federico si è deciso poi di coinvolgere Taketo Gohara nella definizione del mondo sonoro in cui collocarle, affidando gli arrangiamenti di archi e fiati a Enrico Gabrielli. Alla fine di questo travaglio mi sono ritrovato in mano un oggetto non del tutto identificato, che al momento non sono in grado di analizzare. Sono curioso di sapere cosa ne pensano gli altri…

È il tuo disco più condiviso: metà delle canzoni sono scritte con altri. Strano, considerato che lo firmi con nome e cognome…

L’idea di condivisione è parte del modo in cui adesso vedo la musica, e in verità anche la vita: permettere alla sensibilità altrui di modificare e arricchire ciò che ho concepito in solitudine. Avere intorno questa tribù rassicurante mi ha dato la forza per espormi in prima persona.

Hai scelto premeditatamente d’introdurre un disco molto musicale con la canzone meno cantabile di tutte, Chitarra nera?


Chitarra nera è stata la prima canzone ad arrivare e mi ha dato la voglia di scriverne altre. Quindi ho immaginato subito che fosse quella destinata a uscire per prima. Nonostante possa sembrare una scelta suicida: autoprodursi era l’unica maniera per non doverne rendere conto a nessuno. Inizialmente ce n’erano altre due dalle caratteristiche simili, poi però le ho escluse dal disco per non indirizzarlo in quel senso. La seconda ad anticipare l’album è Ci abbracciamo, che ne rappresenta l’esatto opposto. Un pezzo ritmico, formalmente più “normale”, anche se non si capisce bene quale sia il ritornello.

Al CD è allegato un libro: Note a margine e macerie. In cosa consiste?

Si tratta di un diario di viaggio, che include gli ultimi fatti accaduti veramente, in India e a Lampedusa. Accanto a quelli mentali compiuti durante la preparazione dell’album. È una cosa che mi piace fare, mentre il lavoro procede, mettere in fila i pensieri. Alla fine sembra un libro d’avventura: la testimonianza di un disco fatto con l’Italia chiusa e il coprifuoco, dove la musica è un rimedio che rafforza gli anticorpi.

Vasco Brondi: «M’immagino sul palco come una specie di falò intorno al quale riscaldarsi»

Stai già immaginando come rendere il disco dal vivo?


Ci sto pensando proprio in questi giorni. L’estata scorsa ho fatto i concerti di Talismani per tempi incerti, che tra l’altro hanno influenzato molto lo sviluppo di Paesaggio dopo la battaglia. È stato uno dei miei tour più belli, con le persone attirate dalla musica al punto di sopportare code chilometriche ai botteghini. Una dimostrazione di quanto sia sentito quell’atto rituale. Ne ho tratto forza per scrivere canzoni, che non è un modo per farsi belli davanti agli altri o avere sempre più gente che ti gratifica, ma qualcos’altro di più profondo. Quindi non vedo l’ora di tornare a suonare dal vivo, per quanto il sistema sia diventato insostenibile. Avendo capienze ridotte e non potendo far pagare a prezzi astronomici i biglietti, dovremo ridurre i costi al minimo e limitarci all’essenziale.

Sarà una sfida, ma mi piace l’idea di dover ripensare le canzoni nuove per una formazione ristretta a tre o quattro elementi, con pianoforte e chitarra, un violoncello e il sintetizzatore, da cui il disco era partito. M’immagino sul palco come una specie di falò intorno al quale riscaldarsi.

Potete trovare l’intervista completa sul prossimo numero di Billboard di maggio.

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