Interviste

Il ritorno dei Tindersticks: «La strada per l’anima? La sottrazione»

Distractions, il nuovo album firmato dalla band di Stuart A. Staples, è una vera sorpresa. Non potevamo non farcelo raccontare dal suo creatore

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il20 Febbraio 2021
Il ritorno dei Tindersticks: «La  strada per l’anima? La sottrazione»

Foto di Julien Bourgeois

«Tutte le note che si ascoltano nel disco hanno una loro storia da raccontare. Ci siamo arrivati attraverso una lotta quotidiana, registrando in condizioni di distanziamento sociale. […] Togliere qualsiasi orpello, sottrarre e ancora sottrarre fino ad arrivare al cuore delle canzoni era l’unico modo per mantenerci uniti intorno alla stessa idea di musica». Parola di Stuart A. Staples, co-fondatore dei Tindersticks, intervistato da Billboard Italia per un’occasione speciale. Merito di un fine settimana di febbraio, tranquillo e nemmeno di paura, che ha portato con sé l’album nuovo della band, Distractions, uscito venerdì 19 febbraio.

E succede che perfino questo piccolo rito, al quale si è forse avvezzi, per averli già più volte scelti come colonna sonora di qualche momento importante, si riveli invece una sorpresa. Bella. Importante. Quelli di Distractions sono dei Tindersticks come non li avrete mai sentiti.


I Tindersticks stupiscono ancora

Certo, il crooning affabulante e fumoso di Stuart A. Staples è quello che si conosce dai primi anni ’90, così come sono altrettanto riconoscibili l’atmosfera obliqua e notturna, i refrain ampi e sfuggenti, la scrittura mai banale. Eppure, su queste canzoni vige, in modo omogeneo per tutta la durata dell’album, un’attitudine che non è Tindersticks nel senso tradizionale del termine.

Qualunque nuance jazzata è vissuta come una necessità del racconto: non c’è orchestra, non c’è morbidezza nella produzione dei bassi e la batteria è asciugata fino sembrare quasi tutta un rigoroso susseguirsi di impulsi. Alla riposante rarefazione che altre volte ha reso il gioco dei pieni e dei vuoti qualcosa di seducente si sostituisce una severa asciuttezza che non va mai oltre lo strettamente necessario. Rispetto al suo predecessore No Treasure But Hope, un disco giustamente fortunato, nitido saggio di ottime canzoni piacione e carezzevoli, Distractions non concede nulla. Ne nasce un album attuale e moderno, anzi un passo avanti, in quanto a densità emotiva, rispetto al minimalismo imperante nell’arte ai tempi delle distanze sociali. È stato un piacere parlarne con uno Stuart A. Staples più che mai affascinante e maudit.


L’intervista a Stuart A. Staples

L’album si apre con un pezzo veramente atipico rispetto al classico stile dei Tindersticks, Man Alone (Can’t Stop the Fadin’). Come è nata l’idea di una canzone così particolare?

Originariamente non doveva durare 11 minuti, ma circa la metà. Solo che il riff di basso, associato alla cellula centrale del testo, la stessa che sta nella parentesi del titolo, continuava a generare immagini su immagini, suoni su suoni. Le stesse parole si sono come scritte da sole, non si tratta di un racconto lineare, con un prima e un dopo, non sai mai in quale punto della trama ti trovi, né se le cose che accadono siano immaginate o reali.

Non a caso della canzone hai girato tu stesso, con l’aiuto di Paul Guilhaume, un video che ne cattura perfettamente lo spirito…

Sì, il video è il corrispettivo in immagini dell’assenza di un filo logico o narrativo, che è la cifra espressiva del testo. È un viaggio nella notte londinese a bordo di un taxi: South Of London dopo la stanchezza. Nel video c’è questa sensazione di dormiveglia, questo pensiero attraverso quadri giustapposti, in cui non sai se essere parte del contesto o meno, sveglio, presente, o sospeso nell’atto di guardare da fuori.


Un lavoro di sottrazione

Si avverte nel disco una grande urgenza espressiva, a volte perfino sofferta. Come mai?

Tutte le note che si ascoltano nel disco hanno una loro storia da raccontare. Ci siamo arrivati attraverso una lotta quotidiana, registrando in condizioni di distanziamento sociale. Lontani, ma legati da un continuo dialogo, affinché i materiali musicali non fossero un semplice scambio di file, ma musica che suonasse realmente insieme. Togliere qualsiasi orpello, sottrarre e ancora sottrarre fino ad arrivare al cuore delle canzoni era l’unico modo per mantenerci uniti intorno alla stessa idea di musica.

Le parti vocali del disco sono di una intensità inaudita, perfino per i Tindersticks. Cosa ha ispirato una partecipazione così forte?

Non ho cantato pensando al disco e neanche pensando ad una performance. Ero da solo con il mio microfono, in una stanza, con una sola lampada accesa e me stesso.


A proposito di intensità emotiva, non posso non chiederti della cover di pezzo di The Lady with the Braid, il capolavoro di Dory Previn. Sei riuscito a cantare in prima persona la fragilità femminile. Che tipo di esperienza è stata?

Credo sia una delle canzoni più drammatiche di sempre. Lei ha paura di non riuscire a conquistare il proprio uomo ed entra in un vortice di passi falsi che lo allontaneranno per sempre. La paura di perdere qualcuno è una debolezza universale. Ho cantato sentendo che non era la sofferenza di una donna quella che raccontavo, ma il dolore, l’ansia e il senso di inadeguatezza di un essere umano in quanto tale.

Ascolta Distractions dei Tindersticks

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