Elettronica

Nati sotto il segno del French Touch: intervista agli Ofenbach

Gli Ofenbach si sono guadagnati un successo ampio e trasversale grazie a un sound che mescola sapientemente ritmi dance e suggestioni rock (chitarre slide, organi, riff dal sapore blues). Ci riprovano ora con un nuovo singolo, “PARTY”, dal gusto decisamente (e volutamente) “old school”

Autore Federico Durante
  • Il18 Giugno 2018
Nati sotto il segno del French Touch: intervista agli Ofenbach

Il loro percorso artistico è quello che li accomuna a tanti colleghi della scena mainstream internazionale: con una manciata di singoli pubblicati negli ultimi anni, i francesi Ofenbach (César de Rummel e Dorian Lo) si sono portati a casa un successo ampio e trasversale, anche grazie a un sound che mescola sapientemente ritmi dance e suggestioni rock (chitarre slide, organi, riff dal sapore blues). Lo hanno fatto in particolare con le ottime Be Mine (il pezzo più trasmesso dalle radio italiane nel 2017 e anche il più shazammato) e Katchi. Ci riprovano ora con un nuovo singolo, PARTY, remix di un pezzo del producer Lack of Afro, dal gusto decisamente (e volutamente) “old school”. All’orizzonte per gli Ofenbach c’è un vero e proprio album, in arrivo per la fine dell’estate. Ce ne parla Dorian.

Parliamo del vostro ultimo singolo, PARTY. Che tipo di lavoro avete fatto sul brano originale di Lack of Afro? Che suono volevate ottenere?


Volevamo una canzone che fosse in continuità con Be Mine e Katchi ma senza essere una copia esatta. Avevamo in mente di fare un pezzo nello stile dei Run DMC di Walk This Way e dei Beastie Boys con un tocco elettronico e un gusto vintage. Per questo abbiamo fatto questo pezzo. Ci piaceva l’idea della festa e dello stare con gli amici.

Cosa vi piace dello stile di Lack of Afro? Come lo avete scoperto?


L’abbiamo scoperto su Spotify. Stavamo ascoltando una playlist rilassandoci a casa e abbiamo scoperto questo brano insieme a un altro gran pezzo, The Basis. Quello che ci piaceva di più nel suo universo musicale era il tocco vintage, il groove e le influenze alla Fatboy Slim.

Come scegliete le tracce che poi remixate?

Scegliamo i pezzi quando abbiamo un feeling con essi, quando sentiamo che possano essere canzoni nostre. Quando ascoltiamo la musica e pensiamo: “Ah, sarebbe figo se ne facessimo una versione nostra!”. Non ci piace prendere pezzi già famosi. Vogliamo far scoprire gli artisti alle persone. E ci piace quando la voce è roca, non ci piacciono le parti vocali “di plastica” come le cose che sentiamo ogni giorno in radio.

Nei vostri lavori più recenti si può sentire una certa influenza rock. In che modo il rock ha formato il vostro stile e gusto musicale?


A casa e in macchina ascoltiamo molto rock. Quando avevamo 13 anni abbiamo formato un gruppo rock, una cosa solo per gli amici. Così la prima musica che abbiamo suonato era il rock, nella cantina di César: lui suonava la batteria e io la chitarra. Il rock è sempre stato parte di noi. Ricordo che il mio primo concerto fu quello degli AC/DC, per César quello dei Rolling Stones. Siamo sempre cresciuti con la musica rock ed è stato normale per noi mescolare le influenze e farne qualcosa di moderno.

Viviamo in un periodo in cui generi diversi si influenzano molto a vicenda. Perché pensi che questo succeda?

I buoni cocktail si fanno con ingredienti e sapori diversi. E penso che la musica sia sempre stata così: il rifacimento di qualcosa che era già stato fatto prima. È quello che per esempio fecero i Beatles ai loro esordi: prendere il blues e la black music e farne qualcosa di nuovo – lo stesso vale per gli Stones. I Daft Punk a loro volta hanno preso la disco per fare qualcosa di nuovo. I il segreto è mescolare generi diversi per ottenere un nuovo genere.

Il vostro singolo Be Mine è stato il più suonato nelle radio italiane nel 2017, oltre che il più shazammato. Quali sono gli ingredienti chiave per una hit di successo?


Quello principale è cercare di sviluppare qualcosa di originale: come dicevamo prima, mescolare elementi che non erano stati mischiati prima. Così quando abbiamo scelto di unire l’elettronica al rock – con le distorsioni, la chitarra slide – il risultato era qualcosa di diverso. Ma Be Mine era un po’ un rischio per noi, non sapevamo se sarebbe stata un successo o no proprio perché essendo “diversa” non lo puoi sapere. Siamo stati molto felici di vedere che le persone erano di mentalità aperta nei confronti del nuovo sound.



La scena elettronica francese è sempre stata molto interessante negli ultimi vent’anni. Quali sono le principali influenze che trovate nel vostro paese?

Sì, in Francia ci sono molti grandi artisti di musica elettronica. Il “French touch” ha fatto il giro del mondo. Penso che i francesi siano i migliori a produrre quel tipo di musica perché mescoliamo sempre l’elettronica con altri stili diversi – come il French touch ha fatto con la disco, con il soul o con il grunge. Direi che la nostra più grande influenza sono i Daft Punk. Per noi rappresentano il perfetto mix fra buona musica, buoni visuals e buona comunicazione.

La musica in generale sta diventando sempre più un processo collaborativo: featuring, cover, remix, sample e così via. E questo è qualcosa che l’elettronica ha sempre fatto. Pensi che siate avvantaggiati da quel punto di vista?


Sì. I Daft Punk per esempio usarono un sacco di sample nei loro primi album, Homework e Discovery: tutte le tracce erano ispirate da altri pezzi. È vero, nell’elettronica si è sempre fatto e credo che sia una cosa molto buona perché a volte le persone fanno una canzone e non ne vedono il pieno potenziale. Quando prendi una canzone che non è tua magari vedi qualcosa che il suo autore non aveva visto. Così puoi andare più in alto e creare un pezzo molto buono perché se metti insieme il lavoro di chi l’ha scritto e il tuo lavoro sul brano può nascere qualcosa di davvero grande.

Questo è un periodo d’oro per la musica dance a livello internazionale. I DJ sono le nuove rockstar?

Senz’altro! Negli ultimi vent’anni i DJ si sono evoluti molto. Vent’anni fa suonavano solo nei club e la gente neanche li guardava: ballava e basta. Ma negli anni sono diventati sempre più grandi, facendo sempre più spettacoli televisivi e radiofonici. Quindi sì, penso che i DJ siano le nuove rockstar. Ma penso che al tempo stesso siano più semplici e meno incasinati delle rockstar: siamo un po’ più “tranquilli”. Sarebbe interessante provare a fare le stesse cose che facevano le rockstar degli anni ’70 ma non penso che tutti sarebbero d’accordo.

C’è un album in arrivo?


Sì, certo! Ci stiamo lavorando proprio ora. Sarà pubblicato al termine dell’estate, fra la fine di agosto e l’inizio di settembre. Abbiamo un sacco di nuove collaborazioni ed è davvero figo!

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