Musica

L’altro volto del country: la vena sovversiva di un genere spesso dato per maschilista

Aanche nel regno ruvido di quel mondo musicale, fra whisky, sesso, praterie e machismo, serpeggia (per fortuna) una tendenza che ne ribalta il paradigma

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il5 Giugno 2022
L’altro volto del country: la vena sovversiva di un genere spesso dato per maschilista

Orville Peck (fonte: ufficio stampa)

In uno dei suoi seguitissimi editoriali sul New York Times, la scrittrice americana Pamela Paul è intervenuta di recente sul tema della “esperienza vissuta”: «Unless you have walked in my shoes, you have no business telling my story», “fino a quando non sei stato nei miei panni, non è affar tuo raccontare la mia storia”. Vale tantissimo anche per la musica, in particolare per il country che, al pari dell’hip hop e del blues, è uno dei repertori maggiormente basati sul racconto in prima persona.

Il country fra luogo comune e realtà

Nel saggio Faking It: The Quest for Authenticity in Popular Music, i due musicologi Yuval Taylor e Hugh Barker indicano T.B. Blues del grande Jimmie Rodgers come uno dei fondamenti della canzone autobiografica. Siamo nel 1931 e il pezzo è una prima sintesi dell’immaginario della musica country. C’è la quotidianità, soprattutto ai margini, vista attraverso gli occhi di un individuo bianco e di sesso maschile. La stessa che ritroviamo nei vari Hank Williams, Townes Van Zandt, o nello stesso Johnny Cash.


In questo modo il country ha finito col rappresentare sempre di più la quota patriarcale e cisgender della musica popolare americana. Luogo comune o verità? Qualunque sia la risposta, una cosa è certa. Anche nel regno ruvido del country, fra whisky, sesso, praterie ed epica maschilista on the road, serpeggia una vena nascosta che va ben oltre gli angusti confini del Wyoming del celebre gay-movie I segreti di Brokeback Mountain.

Per dirla con Shakespeare, “c’è del marcio” anche nel country. Basterà guardare alla presenza femminile nel genere. Di primo acchito le donne nel country sono una presenza rassicurante e soprattutto minoritaria, come d’altra parte in tutto il resto dell’establishment musicale. Ma ad una seconda occhiata, anche poco più approfondita, tutto assume un aspetto diverso.


Le (molte) eccezioni alla norma

Si veda l’esempio della Carter Family, importantissimo per tutta la vocalità country al femminile. Un uomo, A.P. Carter, faceva da punto d’appoggio al progetto. Ma erano le due donne del trio, Sara, sua moglie, e la cognata Maybelle (destinata a diventare suocera di Johnny Cash), rispettivamente voce e chitarra, le vere teste pensanti. Lui andava in giro a cercare repertorio tradizionale nelle vaste colline della Virginia, loro arrangiavano e reinterpretavano il tutto. Ad A.P. Carter spettava infine il compito di accompagnare le ragazze in lunghi tour, impensabili all’epoca senza una “sdoganante” presenza maschile.

Un’altra pioniera, Kitty Wells, incise nel 1952 una delle canzoni più controverse della musica americana: It Wasn’t Good Who Made Honky Tonk Angels. Si trattava di una sorta di proto-dissing in cui Kitty rispondeva all’inno cowboy The Wild Side of Life di Hank Thompson. Fu un’idea di un discografico della Decca, Paul Cohen. Una buona idea, a conti fatti. Con le sue 800mila copie vendute fu il primo singolo di una cantante country a raggiungere la prima posizione nelle classifiche di Billboard. Nonostante la censura radiofonica.

E come non ricordare il dolente timbro contraltile e la vita travagliata di Patsy Cline? Non sono solo la tempestosa vita sentimentale e la tragica morte, avvenuta nel 1963 per un incidente aereo, a renderla un’icona. Più di tutto contano la libertà espressiva e l’apertura al rockabilly e ai suoni elettrificati, che diedero origine a un repertorio al quale tutta la musica rock è profondamente debitrice.

In un’immaginaria playlist dedicata al “marcio” nel country meriterebbero ampio spazio anche i pezzi di Tammy Wynette e Loretta Lynn. Quest’ultima racconta la sua infanzia travagliata in Coal Miner’s Daughter, un successo di dimensioni incredibili, che ha dato luogo a film come Nashville di Robert Altman e La ragazza di Nashville, che regalò a Sissy Spacek l’Oscar come migliore attrice protagonista.


Il lato “queer” del country

C’è anche un lato scintillante, esagerato e queer nel country. Dolly Parton ne è la regina. Cantante, manager, attrice, filantropa, icona gay, madrina di Miley Cyrus, autrice di grandi hit. Con Dolly entrano nei territori del country l’umorismo sboccato, il botulino, la provocazione estetica, il lusso e l’istinto manageriale al femminile. Fu Dolly la donna che disse di no a Elvis Presley quando, ben prima di Whitney Houston, voleva metà delle royalties per incidere I Will Always Love You.

Negli ultimi decenni l’attitudine tragica e autobiografica di Tammy, Patsy e Loretta e quella scintillante e glamorous di Dolly hanno trovato una sintesi interessante nel fenomeno, al contempo particolare e diffuso, del Queer Country. Shana Goldin-Perschbacher lo indaga in un saggio appena pubblicato in America e intitolato proprio al fenomeno stesso. Vi figurano tanti artisti, alcuni dei quali noti anche in Italia.

Nelle pagine del libro si leggono esempi di un’attitudine autobiografica, come k.d. lang, che non solo è sempre stata una attivista dichiaratamente lesbica, ma ha sovvertito i luoghi comuni del country in prima persona in un film importante, Cowgirl – Il Nuovo Sesso. Il film è a sua volta basato sul romanzo di Tom Robbins Even Cowgirls Get the Blues, che getta un ponte riconoscibile fra il queer country e le interpreti al femminile.

Lil Nas X
Lil Nas X

I “sovversivi” più recenti

Nel saggio di Goldin-Perschbacher è dedicato ampio spazio anche Lil Nas X. In quanto artista di colore, Montero Lamar Hill conta pochissimi precedenti nel genere e il fatto che si tratti di un attivista gay rincara la dose. I suoi pezzi coniugano lo storytelling del country con la mitologia urbana dell’hip hop e la cosiddetta Queer Authenticity. Anche Orville Peck, di cui è da poco uscito il nuovo album Bronco, gioca con l’immaginario dei ranch di Nashville, cospargendoli di lustrini.


Esiste infine anche un Drag Country, che si ispira tanto a Dolly Parton, giusto per chiudere il cerchio. Fra altri esempi potremmo citare uno dei più popolari, Trixie Mattel. Di recente Trixie, insieme alla collega Katya Zamolodchikova, ha realizzato un libro, intitolato Trixie and Katya’s Guide to Modern Womanhood. L’arte della femminilità secondo le drag queen. Dalle donne che raccontano alla rappresentazione della donna, dal cisgender alla fluidità. Andata e ritorno senza barriere.

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