Interviste

Stefano Boeri: «I protagonisti della trap amano gli eccessi ma hanno un legame profondo con le loro origini»

La Triennale di Milano, di cui il celebre architetto è presidente, ha recentemente organizzato il digital talk (T)rap&Architecture. Ospiti, Frah Quintale, Rkomi e The Night Skinny

Autore Tommaso Toma
  • Il24 Aprile 2021
Stefano Boeri: «I protagonisti della trap amano gli eccessi ma hanno un legame profondo con le loro origini»

Foto di Gianluca Di Ioia

Ascoltare l’architetto Stefano Boeri è sempre stimolante, anche in un contesto come la musica trap. Di recente ha accolto negli spazi della Triennale di Milano, di cui è presidente, (T)rap&Architecture, un digital talk con Frah Quintale, Rkomi e The Night Skinny che ha esplorato una nuova forma di dialogo tra la cultura musicale trap e rap e i temi dell’architettura e dell’urbanistica.

L’attenzione per questa corrente musicale s’inserisce in un quadro di più ampio respiro all’interno della progettualità della Triennale. Lo sottolinea la direttrice artistica, Lorenza Baroncelli: «Questo appuntamento è stato una riflessione più ampia che Triennale Milano sta portando avanti con progetti come lo skatepark dell’artista Koo Jeong A, progettato per noi nel 2019, gli Esse Magazine Awards del 2020, in cui la cultura skate e quella musicale urban italiana si sono incontrate, e la mostra sull’architetto Carlo Aymonino, di cui a Milano ricordiamo il Gallaratese, che sarà inaugurata proprio a maggio».


3. Rkomi_ foto di Marco Aurelio Mendia
Rkomi. Foto scattata per l’evento (T)rap&Architecture da Aurelio Mendia

Come definirebbe lei il fenomeno trap? Secondo lei – seguendo la filosofia della Triennale – è l’unico genere che in questo momento sa far incontrare assieme arte, design, architettura, moda, cinema, comunicazione e società?

Una corrente calda, che ha origine nella vita vera, nelle case dei quartieri esterni delle metropoli, nasce spesso nelle periferie. Questa corrente viva e pulsante non è stata solo e semplicemente importata dagli USA come moda ma si è generata da sola anche qui in Italia. I suoi protagonisti in Italia sono ragazzi giovanissimi che attraverso la musica e le rime si costruiscono una strada, intrecciandosi poi con il resto delle discipline da lei nominate, che sono il fulcro della Triennale. Tutto succede attraverso le stesse dinamiche che vediamo negli States. La Triennale non può non ascoltare un fenomeno culturale così potente. Peraltro oggi non è che ne accadano molti di fenomeni con una portata simile e così legati alla vita.


Guadando sotto la lente dell’architettura la cultura hip hop e trap, ho sempre trovato da parte degli artisti una fascinazione per due scenari diametralmente opposti. Da un lato quello della suburbia, delle periferie spesso condizionate da un’estetica brutalista e abbandonate a se stesse. Dall’altro quello delle villone sfarzose segnate da un cattivo gusto, cercato, voluto. Che ne pensa?

Nel mondo trap l’ingresso del kitsch è molto presente, leggerei però la questione in due modi. C’è un modo di leggere questo approdo come un cedimento a dei cliché dello star system dell’intrattenimento. Ma proporrei un’altra lettura che m’intriga di più che è una forma di “liberazione”. Come se parlassimo della ricerca di qualcosa che simboleggi un’emancipazione da una forma di marginalità: “l’accesso all’eccesso”. Si dimostra che si può conquistare il superfluo. La cosa interessante, però, è che spesso questi protagonisti della scena trap mantengono caratteri di un legame robusto con la loro origine. Ed è una cosa che mi piace sottolineare.

1. The Night Skinny_ foto di Marco Aurelio Mendia
The Night Skinny davanti alla chiesa di San Giovanni Bono (arch. Arrigo Arrighetti, Milano, 1968). Foto scattata per l’evento (T)rap&Architecture da Aurelio Mendia

La Triennale, da quando c’è lei, è attentissima alla musica: la ripresa dei concerti nel Teatro e nel giardino esterno, l’accoglienza di Radio Raheem. Da un certo punto di vista si avvicina a un Barbican Centre di Londra. Qual è la sua idea di fondo di Palazzo dell’Arte?

La mia idea è proprio quella di rendere la Triennale anche un sensore di tutte le tensioni che attraversano la società e che la cultura deve sapere accettare, guardare in faccia e interpretare. E non a caso stiamo parlando di trap e cultura hip hop: abbiamo allestito uno skatepark nel piano terra chiamando un’artista notevole come Koo Jeong A e per settimane gli spazi della Triennale sono stati occupati da ragazzi che arrivavano dalle diverse parti della metropoli, comprese le periferie. Ecco, è accaduto che mondi che di solito non si incontrano si sono ritrovati nei nostri spazi nella centralissima Milano.


Penso che la Triennale non si possa permettere di sottovalutare i protagonisti della trap. Mi piacerebbe moltissimo trovare una formula adeguata – pensando al periodo che stiamo vivendo – per allestire un grande festival trap a Milano. Peraltro la scena trap ha ormai una sua storia già abbastanza lunga e abbiamo davanti una varietà davvero interessante.

Mi tolgo per un attimo i panni del giornalista musicale e le chiedo di darci una sua visione di quel fenomeno delle risse di massa tra ragazzini “convocati” via social nelle piazze e nelle vie?

Si tratta di un tema molto delicato. È un fenomeno preoccupante che ha bisogno di essere decifrato, c’è una esasperazione di fondo, c’è il bisogno di collettività per i giovani e di avvicinamento dei corpi. Ho pensato anche al contesto dei rave illegali notando che i raduni son fatti clandestinamente. C’è un problema di ordine pubblico dopodiché ci sono alle origini dei motivi altamente comprensibili dovute a lunghi lockdown, i ragazzi son stati relegati per mesi negli spazi domestici, con il passare del tempo tutto questo diventa una bomba. Se possiamo proporre alterative, è il momento. Per esempio noi in Triennale prestissimo riapriremo gli spazi esterni del giardino e gratuitamente, offrendo anche quel tipo di mondo musicale che è più vicino ai ragazzi. È un piccolo segnale ma importante.

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