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Kendrick Lamar a Milano ha messo in gioco se stesso. E non ha deluso

Il rapper di Compton ha infiammato Milano (prima data mondiale) con un concerto fatto di più che di semplici canzoni. Lo hanno aiutato una band nascosta e un poderoso corpo di ballo

Autore Silvia Danielli
  • Il24 Giugno 2022
Kendrick Lamar a Milano ha messo in gioco se stesso. E non ha deluso

Kendrick Lamar, foto Billboard IT

Quanto pesano le aspettative nella percezione di un’esperienza? Ieri sera, per gli amanti del rap (ma non solo), si è tenuto il concerto più atteso dell’estate all’Ippodromo Snai San Siro. Kendrick Lamar ha iniziato il suo tour mondiale proprio da qui, da Milano. Privilegio o esperimento, dato che l’Italia non è il Paese più importante per l’industria musicale globale? Qualunque sia la risposta, il sapore dell’anteprima è emozionante comunque.

Prima dell’inizio del live non si sa nemmeno se il rapper di Compton arriverà accompagnato dalla band o da un DJ/producer. Il mini-live che ha tenuto a Cannes questa settimana, dove ha presentato solo sei pezzi, non può essere un riferimento da tenere in mente. Certo, il fatto che sul palco non sia posizionato alcuno strumento potrebbe essere un indizio non indifferente ma in realtà è fuorviante. Perché una band c’è ma sarà tenuta nascosta per tutto l’evento, se ne può avvertire la presenza ma se non ce lo avessero detto non lo avremmo mai capito. E quindi la prima e fondamentale domanda è: come farà il Premio Pulitzer 2018, il rapper più stimato e celebrato degli anni ’10, a catturare e coinvolgere il suo pubblico anche durante il live?


Con una performance dove in scena mette se stesso e quindi gli altri, ovvero tutti noi, grazie a un corpo di ballo di più di 30 elementi. Ma andiamo con calma.

Se andate a un concerto di un rapper pensando di vedere i Rolling Stones che infiammano ancora la platea come non mai o una qualsiasi band che sperimenta l’intesa e mostra le sue capacità di saper suonare gli strumenti come i Måneskin, siete fuori strada. Ma non perché qualcuno sia meglio dell’altro, semplicemente sono cose diverse. Kendrick Lamar non è nemmeno Anderson .Paak che porta sul palco il suo energico mix di soul e hip hop accompagnato da una solida band. Kendrick presenta e mostra se stesso (con notevoli capacità sceniche, comunque) e l’unica cosa che vuole fare è trasmettere le sue emozioni, i suoi dubbi, le sue enormi frustrazioni per farle vivere anche a chi ha di fronte. Senza indicare alcuna strada da prendere o soluzione da adottare.


È l’unico motivo che lo spinge a fare musica, come dichiarò a Dave Chapelle per Interview in una delle pochissime interviste concesse in questi anni.

Il primo pezzo (a costo di parere fin troppo didascalici…) è infatti United in Grief, l’apertura del suo ultimo album Mr. Morale & The Big Steppers, uscito venerdì 13 maggio.

L’ultimo (scusate se skippiamo in avanti di un’ora e mezza…), Savior. Prima di iniziarla, Kendrick stesso fa sapere che si tratta del suo preferito tratto dall’ultimo lavoro. Dove il dubbio che si annida tra le barre è: sono davvero dei miti assoluti le persone di colore che vengono ritenute tali oggi? J Cole, Future, Lebron James. Lui stesso. Che, nonostante, tutte le riflessioni sull’identità black portate avanti soprattutto da To Pimp a Butterfly (2015) in poi, non vuole assurgere a nessun ruolo di profeta della sua comunità.

Il pubblico di Kendrick Lamar davvero carico

Il pubblico italiano, con moltissimi stranieri, primi tra tutti anglofoni, è davvero carico. 24mila, dicono i dati ufficiali. Prima del live in molti avevano scherzato sui social sul fatto che nessuno avrebbe saputo i testi. Invece no, li sanno eccome. Hype o non hype. Conoscenza dell’artista dal 1987 (l’anno di nascita…) o dal 2013 (quando si esibì a Milano per la prima e unica volta, ai Magazzini Generali) o meno. Ci sono anche tanti rapper e producer: Nitro, Ghemon, Mace, Venerus, BigFish, Charlie Charles, Shablo e sono solo quelli che abbiamo incrociato di persona.


Kendrick sale sul palco alle 21.30, come previsto. È serio, concentrato, non sorride mai. L’espressione è ieratica. Sui maxi-schermi appaiono le sue immagini ma molto spesso sono appositamente fuori-fuoco. All’inizio il volume del suono è troppo basso (commento riferito da tutti gli angoli dell’Ippodromo) anche se migliora un po’ nel corso del concerto. E anche lui si apre. Arriva anche a parlare alla fine del live. Apprezza il pubblico così gasato, forse non se lo aspettava. Ringrazia e ricorda – in super sintesi – come ognuno di noi attraversi battaglie nella vita di tutti i giorni. Le sue sono esposte nei suoi testi e ce le sta presentando ora dal vivo. Le contraddizioni del dibattito sull’identità black e sulla cancel culture. I problemi con l’alcol. Il peso del tradimento nella coppia e il sostegno della fede.

Kendrick racconta tutto senza violare mai la sua privacy. L’ha fatto praticamente solo per la cover del suo ultimo album, dove ha piazzato una sua foto di spalle scattata da Renell Medrano. In braccio la primogenita Uzzy, sul letto la moglie Whitney Alford con il piccolo Enoch nato da pochi mesi. In testa una corona di spine come Gesù in croce (mai nascosta la sua passione per la religione, fin dai primi brani) e una pistola che spunta dalla tasca (mai celata la sua frequentazione delle gang di Compton, la sua città).

Tutte le hit di Kendrick Lamar in scaletta

Anche se la scaletta si apre e si chiude con brani dall’ultimo lavoro (tante ovviamente le tracce) c’è spazio per tutti i brani più conosciuti di K.Dot tratti dai suoi 4 album principali. Sul palco i titoli dei dischi compaiono su gigantesche coste di libri virtuali. Volumi che si aprono per il racconto di Kendrick, che non si potrebbe fare senza l’intervento dell’enorme corpo di ballo. Chi rappresentano i ballerini, uomini e donne, se non tutti noi? Con loro, Kendrick interagisce e costruisce una performance fin dall’inizio. Sono eleganti, spesso rivolgono le spalle al pubblico. E anche loro, sono seri, serissimi. A un certo punto l’artista darà loro la mano. Verso la fine. Per LOVE.

Nella setlist ci sono moltissimi pezzi da DAMN. Ovviamente DNA. e HUMBLE. E poi LOYALTY, LUST., ELEMENT. BLOOD. (per la prima volta dal vivo). I cavalli di battaglia: M.a.a.d. City, Bitch Don’t Kill My Vibe, King Kunta, Alright, i. Money Trees. L’inarrivabile The Blacker, The Berry.


Quello di ieri è stato un concerto ricco e arricchente. Nonostante le aspettative fossero davvero alte. Forse bilanciate solo dalla paura di rimanere delusi.

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