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Un ricordo di Julee Cruise, eterea icona anni ’80 fra Blue Velvet e Twin Peaks

La cantante si è tolta la vita pochi giorni fa, aveva 65 anni. Ripercorriamo qui alcuni momenti indimenticabili della sua fugace parabola nello star system

Autore Piergiorgio Pardo
  • Il13 Giugno 2022
Un ricordo di Julee Cruise, eterea icona anni ’80 fra Blue Velvet e Twin Peaks

Julee Cruise (fonte: YouTube)

Le pagine internazionali di cronaca dello spettacolo hanno riportato durante questo fine settimana la notizia della morte «on her own terms» di Julee Cruise. Le fonti sono la dichiarazione a NPR e il commosso saluto sui social da parte del marito Edward Grinnan. In entrambi i casi si fa un cenno – giustamente essenziale – a problemi psichici e di salute sofferti dalla cantante.

Julee Cruise e Blue Velvet di David Lynch

Julee è una delle icone pop degli anni ’80 e ’90. La sua apparizione fugace nello star system, seguita da occasionali incursioni di minore importanza, ha lasciato un segno indelebile nella memoria collettiva. La prima apparizione importante è Mysteries of Love, colonna sonora del film di David Lynch Blue Velvet (1986). Rimane a tutt’oggi una pellicola di culto. Ma all’epoca fu anche campione di incassi a dispetto del budget ridotto e delle mille difficoltà ad entrare nei canali mainstream di distribuzione.


L’operazione di Lynch era ambiziosa, provocatoria e autoreferenziale come possono permettersi i più grandi. Si trattava di dimostrare come i fantasmi adolescenziali di un genio, compreso ma scomodo, dialogassero ad armi pari con il fiume sotterraneo dei vizi privati d’America. Insomma, che la perversione, quella vera, è un desiderio della porta accanto. Anzi. Dello spioncino della porta accanto, a volere essere precisi.

Diventiamo tutti avventori dello Slow Club, quando Isabella Rossellini canta la canzone di Bobby Vinton, da cui il film prende il titolo. E siamo un po’ tutti voyeur, insieme a Dennis Hopper dietro l’antina della cabina armadio, quando Dorothy viene strapazzata dall’attore feticcio Kyle MacLachlan.


A fare da colonna sonora a questa complicità fra Lynch e il lato oscuro della gente per bene serviva una musica che avesse la stessa bellezza decadente e allusiva degli occhi di Dorothy/Isabella. Malattia e innocenza dovevano essere tutt’uno. Ci voleva insomma la musica giusta per la frase conclusiva del film, pronunciata da Laura Dern di fronte a un pettirosso con un insetto nel becco.

«It’s a strange world, isn’t it?». E via di significati simbolici, intanto che le note estasiate di Mysteries of Love accompagnano i titoli di coda. Promettendo quel piccolo lascito di turbamenti che vale il prezzo del biglietto o della serata sul divano.

Chi ha ucciso Laura Palmer?

A proposito di divano, il miracolo si ripeté con la colonna sonora della serie TV I segreti di Twin Peaks. Un classico. Il titolo, programmatico, era Falling. Sull’etereo soffiato di Julee Cruise, sostenuto dal basso trattato e dai tappeti di tastiere del compositore siculo-americano Angelo Badalamenti, milioni di persone ogni settimana si chiedevano “chi avesse ucciso Laura Palmer”. Ancora una volta una minuta e giovane donna dell’Iowa, con una acconciatura a metà fra Wilma Flintstone e Dusty Springfield, cantava i tormenti inconfessati dell’America rurale e con essi la morbosità di tutti i provincialismi.

Laura Palmer non era morta, viveva nei fiati sospesi del cantato di Julee e dei telespettatori del prime time. Fanno parte della colonna sonora altri quattro pezzi: The Nightingale, Into the Night, The World Spins e Rockin’ Back Inside My Heart. A questi aggiungiamo anche Questions in a World of Blue, tratta dalla colonna sonora di Fuoco cammina con me, e Until the End of the World, in cui il format viene prestato all’omonimo film di Wim Wenders, con risultati complessivamente meno incisivi.


Ci sono di quelle voci che fanno prendere vita al più semplice dei testi e gli conferiscono un mondo di sottintesi. Le hit nascono anche così. All’epoca di Blue Velvet, Lynch e Badalamenti stavano cercando qualcosa che somigliasse alla Elizabeth Frazer della cover di Song to the Siren, di Tim Buckley, ma anche un pezzo che, come il classico di Bobby Vinton, potesse rappresentare «lo stato d’animo che porta con sé un’epoca». Sono le parole di Lynch raccolte da Lizzie Borden sul settimanale Village Voice.

Fu così che si imbatterono Julee e con lei in una impossibile sintesi fra New Wave e New Age, Vangelis e John Carpenter, Enya e This Mortal Coil, che forse non aveva precedenti, ma che ha ispirato molte derive nei decenni successivi. L’opera omnia del combo si può ascoltare nei due dischi incisi in quegli anni: Floating into the Night (Warner, 1989) e The Voice of Love (Warner, 1993).

Nella carriera di Cruise c’è poco altro. Un album in tono minore, autoprodotto (The Art of Being a Girl), un altro, interessante e sfortunato, con DJ Dmitry dei grandi Deee-Lite, My Secret Life (Purley Sounds, 2011), e una collaborazione in tour con i B-52s. Con loro si divertì moltissimo e, sembra, furono giorni felici.

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