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Meno male che l’Unsound c’è

Da Marina Herlop a Kode9, l’edizione 2022 del festival polacco ha ridato uno sguardo sul futuro della musica

Autore Claudio Biazzetti
  • Il19 Ottobre 2022
Meno male che l’Unsound c’è

Marina Herlop, Unsound Festival 2022

Proprio qualche mese fa da queste parti cercavamo di quantificare (senza successo) la grandezza di un’artista come Marina Herlop. Il suo live al Lost Festival di Parma pareva qualcosa d’insormontabile: come se nel 2022 non avremmo mai più sentito qualcosa di più esaltante, commovente arrivare da un palco. In realtà non era così, ma in realtà anche sì. Nel senso che poteva essere superato, sì, soltanto da un altro live di Marina Herlop, stavolta all’Unsound Festival di Cracovia, Polonia.

Perché, se a Parma la cantante catalana ha lanciato potenti incantesimi sul pubblico con la sola forza delle sue mani, tra le mura post-industriali del Teatr Łaźnia Nowa si è presentata con due coriste e un percussionista al seguito. Il che banalmente ha significato arrangiamenti molto più fedeli al capolavoro che è Pripyat, disco cesellato di doppie voci, armonizzazioni e paesaggi ritmici che si alternano in un continuo gioco di addizioni e sottrazioni. Non solo: senza un setup del genere non si sarebbe mai potuta fare la cover di Making of Cyborg, inno composto da Kenji Kawai per la colonna sonora di Ghost In The Shell. Risultato: al secondo pezzo in scaletta stavo già piangendo.


I live trovano la loro dimensione ideale all’Unsound

In generale, quello che fin da subito è stato evidente dell’edizione 2022 dell’Unsound è che molti live che in precedenza avevo già visto, in questo contesto hanno trovato la dimensione ideale. Se già Heith, alias di Daniele Guerrini, alla Palazzina Appiani a Milano aveva messo bene in chiaro che questo era l’anno di svolta del progetto, col suo trio in Polonia ha dispiegato visual devastanti (raga, devastanti) e una produzione semplicemente azzeccata, tra nuvole impenetrabili di fumo e torce frontali sui musicisti. Tutta roba che ben si sposa con la natura incasellabile ma dalle tinte buie di X, Wheel.

Tra parentesi: sarà un caso che i due dischi citati sopra siano entrambi usciti quest’anno per PAN? Decisamente no, e questo forse fa dell’etichetta berlinese una delle cose più preziose che abbiamo ora, almeno per quanto riguarda un tipo di musica che cerca davvero di spingere ‘sto benedetto futuro.


In ogni caso, come anche nell’edizione 2021 i live più strutturati sono stati messi in teatri più capienti, in orari di preserata. Dall’hyper rap di Shygirl (aggiunta all’ultimo minuto in sostituizione di Caroline Polachek) ai dronazzi saturati e ultra-risonanti di Kali Malone (insieme a Stephen O’Malley dei Sunn O))) e Lucy Railton), il fil rouge che ha collegato le scelte dell’artistico è stato semplicemente il rifiuto della banalità e soprattutto della nostalgia. Insomma, quella che Simon Reynolds ha proverbialmente definito Retromania.

L’Unsound però nasce e rimane comunque danzereccio, con l’occhiolino strizzato alla rave culture. Per cui, la gente prende aerei, treni, dirigibili e ogni tipo di mezzo possibile principalmente per andare lì a ballare, a sudare per ore come criceti. È quindi nella venue di Hype Park, un complesso di capannoni a nord della città, che la fauna del festival ha passato più tempo, alternandosi tra le due sale principali.

All’Unsound nomi affermati e nuove scoperte

Qui, tra le migliori esibizioni ci sono stati nomi decisamente telefonati ma anche grandissime scoperte. Ovvio che un mostro come Kode9 ti distrugge prima la sala 1 con il live di quel capolavoro che è il nuovo Escapology, e poi anche la sala 2 con un dj set al tritolo in back to back con Tim Reaper. Inaspettati invece gli show di Deli Girls, duo a metà tra l’hc punk elettronico di Machine Girl e le sgravate noise rap dei Death Grips. Mortale anche Blackhaine, con questo colosso di cantante che sembra una versione di Henri Rollins aggiornata alla psicosi dell’era digitale.

Il tema e il sottotitolo dell’Unsound 2022 era Bubbles, bolle, proprio per evocare l’immagine di una musica “amorfa, mutevole e dinamica” che sin dagli albori ha contraddistinto uno degli eventi più belli che ci siano in Europa. La metafora però si estende bene non solo a una città, Cracovia, che è sempre stata una bolla felice, acculturata in una Polonia sempre più nazionalsocialista (per non parlare dell’Italia), ma soprattutto a una tensione che tra le strade della suddetta città si è percepita tantissimo quest’anno.


Polizia ovunque, sirene, stato di allerta perenne per via di una guerra proprio lì, al confine, a due ore e mezza di auto. E allora sì che queste Bubbles musicali, come sacche di resistenza contro un presente sempre più asfissiante, si rivelano fondamentali. Come l’ossigeno.

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