Interviste

Il ritorno degli ODESZA vi farà ballare questo weekend con un’elettronica raffinata. L’intervista

È uscito “The Last Goodbye”, che segna una nuova tappa nella storia di questa coppia di producer di musica elettronica per ballare e anche per pensare, con l’aiuto di molti ospiti

Autore Tommaso Toma
  • Il23 Luglio 2022
Il ritorno degli ODESZA vi farà ballare questo weekend con un’elettronica raffinata. L’intervista

ODESZA (fonte: ufficio stampa)

Finalmente abbiamo tra le mani The Last Goodbye, nuovo album di questa coppia di producer da Seattle – Harrison Mills e Clayton Knight – che nel catalogo della storica Ninja Tune (celeberrima per i suoi inizi legati all’abstract hip hop a metà anni ’90) occupa un posto particolare. Già attivi dal 2012 con un album autoprodotto e strumentale, gli ODESZA progressivamente sono passati da un’elegante chillwave/downtempo a un’elettronica melodica ballabile e dalle chiare venature pop.

Con i successivi In Return e il buono A Moment Apart, dell’ormai lontano 2017, appare evidente come la coppia da Rain City abbia puntato in alto con la complicità di numerosi ospiti, rendendo i loro lavori in studio una sorta di bella passerella su cui su far sfilare artisti più o meno di culto o celebri, da RY X a Leon Bridges, dalla concittadina Briana Marela alla ex diva indie Regina Spektor.


Rimane sempre nelle produzioni degli ODESZA una linea di ricerca timbrica elegante e mai scontata, tanto da farli sentire a tutti gli effetti ancora un “prodotto da catalogo Ninja Tune”, ma certamente l’imprinting pop è fortissimo e per fortuna mai sgradevole o kitsch.

La recensione di The Last Goodbye

Dopo una lunga attesa, non abbandonando la formula della presenza di numerosi guest, Mills e Knight danno vita con The Last Goodbye al loro miglior album. Trovato l’assetto estetico giusto, il duo ha concepito quest’ultima fatica come una sfida che è stata superata benissimo, grazie anche al contributo di ospiti (tra gli altri: Låpsley, Ólafur Arnalds, Julianna Barwick, The Knocks, Izzy Bizu e Charlie Houston), che non hanno fatto solo la loro comparsa ma hanno contribuito con la loro energia e creatività.


Gli ODESZA hanno coinvolto anche una cantante dal grande passato come Bettye LaVette nella composizione migliore in assoluto (la title track). Un album a tratti sinfonico, con reminiscenze del Moby anni ’90 (Love Letter), e non mancano gli episodi più solari e pop (Wide Awake e Forgive Me).

img Odesza - foto di Tonje Thilesen
ODESZA (foto di Tonje Thilesen)

L’intervista con Harrison Mills e Clayton Knight

Perché questo titolo “drammatico”? Pura superstizione?

Il titolo è davvero aperto alle interpretazioni, è più concettuale che letterale. Non è l’ultimo addio per noi come ODESZA. Abbiamo intenzione di fare ancora molto. In definitiva, il progetto pone il dubbio se ci possa mai essere un vero ultimo addio. Ci piace pensare che non ci sia, che coloro che amiamo siano con noi anche se non fisicamente presenti. Tutti noi siamo eco delle persone che ci hanno influenzato nella nostra crescita e come individui porteremo sempre quell’influenza con noi.

Avverto l’influenza di certi lavori di Moby: lui è un modello per voi? Quale album preferite?

Sì, siamo grandi fan di Moby. Il suo album che preferiamo è Play.

Quale dei guest che avete nell’album vi ha sorpreso di più, e perché?

Domanda difficile. Per questo disco, avere la possibilità di campionare l’iconica Bettye LaVette e poi anche conoscerla personalmente è stato davvero gratificante per noi. Lei è incredibile, oltretutto non sempre si riesce a costruire un rapporto personale come questo quando si fanno sample.


La traccia che dà il titolo all’album, The Last Goodbye, è davvero potente, in effetti Bettye LaVette immette una bella energia soul.

Grazie, il merito è tutto di Bettye. Questa canzone è molto speciale per noi. Utilizza la parte vocale di un brano che lei registrò negli anni ’60, Let Me Down Easy: ci colpì subito quando lo scoprimmo. Volevamo dare a questa voce senza tempo un approccio più contemporaneo, elettronico. L’idea di unire due mondi all’apparenza distanti ci ha sempre affascinato. È stato un vero onore poter lavorare con la voce di Bettye per la scrittura della traccia, ricevendo anche la sua benedizione per il progetto. Lei è stata capace di veicolare l’emozione attraverso la vocalità come poche altre.

Avete deciso di radunare guest molto diversi fra loro. Addirittura c’è la presenza della cantante portoghese recentemente in gara all’Eurovision. Perché tanta varietà?

Amiamo collaborare con altri artisti. È bello aggiungere nuovi elementi da diverse voci e prospettive. Soprattutto per questo disco volevamo sfidare noi stessi, così abbiamo voluto mescolare questi artisti molto diversi fra loro mostrando il loro talento individuale, pur creando al tempo stesso un progetto coerente tenuto insieme dai motivi e dai temi su cui stavamo lavorando. I motivi per cui li abbiamo coinvolti variano da caso a caso. Speriamo che il progetto renda loro il giusto omaggio.

Un altro pezzo potente è Love Letter con il duo The Knocks. Com’è nato?

I The Knocks ci avevano mandato l’idea per il brano più di tre anni fa, quando eravamo in tour per l’album A Moment Apart. Per via delle tempistiche stringenti non fummo in grado di svilupparla, ma quando ci siamo messi a pensare a questo nuovo album abbiamo spulciato le vecchie demo riscoprendo quella che sarebbe diventata Love Letter. Per coincidenza, fu nello stesso giorno in cui i The Knocks erano pronti per pubblicarla così com’era! Così li abbiamo ricontattati (per fortuna non hanno pubblicato il brano) e abbiamo rilavorato la traccia in modo collettivo, dandole nuova vita ed energia.

Com’è stato presentare l’album in un contesto come il Coachella?

Abbiamo avuto la possibilità incredibile di fare una partnership con HP per la parte audio e di lavorare con artisti fantastici per i visual dell’esperienziale Antarctic Dome. È stato bello far parte del progetto e incorporare assaggi del nostro nuovo album per i fan in quel contesto.


Idee nuove per il vostro tour?

È da moltissimi mesi che lavoriamo sullo show insieme ai nostri collaboratori di lunga data. Abbiamo cercato di approcciare il Dome come qualcosa di completamente diverso dal nostro spettacolo, in modo che avesse un suo momento creativo davvero unico.

La città dove avete visto i locali più belli?

Saremo di parte, ma la nostra Seattle avrà sempre un posto speciale nei nostri cuori. Abbiamo cominciato qui, suonando per pubblici di una manciata di persone (ovvero i nostri amici…) in piccoli locali come il Neumos e lo Showbox. Adesso hanno costruito venue incredibili come The Climate Pledge Arena, dove non vediamo l’ora di suonare. Seattle è davvero sottovalutata quando si parla di musica.

Il primo disco che avete amato alla follia?

Siamo stati influenzati da così tanti generi di musica e artisti che è difficile a dirsi. Ma se dovessimo dare una risposta diremmo Pet Sounds dei Beach Boys. Quando ci siamo conosciuti e abbiamo iniziato a fare musica insieme, l’amore per quell’album è stato una delle cose che ci hanno unito. Facevamo addirittura dei bootleg di remix dei Beach Boys! Senz’altro hanno definito un’epoca.

Curiosità finale: l’album che avete ascoltato durante i periodi più bui della pandemia?

Non era proprio in lockdown visto che è un album di quest’anno, ma non riusciamo a smettere di ascoltare l’ultimo album di Kendrick Lamar, Mr. Morale & The Big Steppers. Un capolavoro.


Ascolta The Last Goodbye degli ODESZA

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